L’enciclopedia d’Italia di Aldo Cazzullo

di Matteo Barcella, Chiara Capitanio, Greta Mumolo, 4B

 “Enea è l’eroe pio, misericordioso, che si fa carico del passato e del futuro, che fugge da Troia in fiamme, col padre Anchise sulle spalle e il figlio Iulo […] l’eroe degli antenati e dei discendenti”

Viene evocato così il progenitore delle genti romane, da Aldo Cazzullo, giornalista del Corriere della Sera, conduttore di Una giornata particolare su La7, ospite al Liceo Classico A. D’Oria per presentare lo spettacolo Il duce delinquente in scena al Teatro Modena di Genova.

Interrogato dalle domande degli studenti, raduna, come in un’enciclopedia, l’identità della nostra nazione.

“Non è nata dalla politica, dalla diplomazia, dalla guerra, ma è nata dall’arte, dalla bellezza, dalla cultura, dai versi di Dante, dagli affreschi di Giotto, dal Rinascimento. L’Italia è una nazione culturale” – afferma Cazzullo in un continuo riferimento ai veri fondamenti delle società del passato.

Si sofferma sulla pluralità delle personalità che hanno influenzato le scene del passato, da Virgilio, tanto amato dal Medioevo, che ha donato alla letteratura un nuovo modello di sentirsi italici, sino alle donne del “We can do it”, che come eroine ovidiane, hanno mantenuto salda l’economia durante la guerra.

È un viaggio di parole che attraversa anche le pagine nere del fascismo, ovvero quella mitomania che ha rinchiuso la penisola in una gabbia di ostilità e intolleranze, con a capo la criminalità, che lo spettacolo di Cazzullo ha sviscerato in una attenta introspezione dei vertici delle camicie nere.

Una continua contrapposizione fra “una Italia che fornisce molti mezzi per parlar male di lei”, che ancora soffre la disparità di genere, mentre allo stesso tempo ha partorito chi la rese fiera di essere nazione, sebbene il suo particolarismo territoriale e politico.

Qui giace Raffaello da lui, quando visse, la natura temette d’essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire – ricorda Cazzullo l’epitaffio della tomba di Raffaello, sita nel Pantheon, l’emblema dello spirito di integrazione dei romani, che avevano dedicato un tempio a tutte le divinità dell’impero, dal vecchio Giove al nuovo culto di Mitra.

Le sue parole si fanno copione la sera del 26 gennaio. Durante lo spettacolo messo in scena al Teatro Modena, tratto dal suo saggio “Mussolini il capobanda”, Aldo Cazzullo ripercorre gli anni bui del fascismo, accompagnando lo spettatore tra i meandri della mente di Mussolini, protagonista indiscusso di quest’epoca. Cazzullo dipinge un ritratto estremamente cruento del duce, non maschera l’orrore delle sue azioni ma da loro voce per rivendicare la memoria delle vittime innocenti del fascismo. Mussolini viene presentato sotto un’ottica diversa rispetto al consueto, non soltanto come politico intransigente, ma anche come uomo senza scrupoli, nella vita privata e nei confronti dei suoi affetti personali.

Moni Ovadia prende in prestito le voci dei protagonisti del ventennio con minuziose imitazioni, si fa narratore e cantore di invasori e oppressi, vincenti e sconfitti, carnefici e vittime. Ebraico, greco, russo, spagnolo, tedesco, un viaggio tra lingue di popoli diversi tra loro ma uniti dal sangue versato negli anni della Seconda Guerra Mondiale.

Parole e canti non si perdono nel silenzio, ma vengono sospinte dolcemente dalle note della poliedrica musicista Giovanna Famulari, tra suoni dolci e delicati quanto profondi e oscuri degli strumenti che maneggia con maestria: violoncello, tastiera, armonica. Due sole mani si destreggiano in una colonna sonora varia ed emozionante e come se sul palco la musicista non fosse soltanto una, più strumenti producono melodie all’unisono.

‘’Il duce delinquente’’ sarà mandato in onda su la7 la sera del 24 aprile in onore della festa della Liberazione, perché ancora troppo spesso qualcuno afferma che Mussolini ‘’ha fatto anche delle cose buone’’ e che il suo unico errore sia stato quello di entrare in guerra. Il fascismo è ancora oggi una ferita aperta del nostro paese, un’ombra che l’Italia continua a portarsi dietro, e, sebbene molti riconducano questo fenomeno esclusivamente al secolo scorso, in realtà le sue ripercussioni affiorano anche nel nostro presente, manifestandosi nella vita di tutti i giorni in maniera più o meno velata.

 

 

Il futuro “oltre il ponte”

Il messaggio di Italo Calvino partigiano “Santiago” raccontato da Giordano Bruschi partigiano “Giotto” agli studenti del Liceo D’Oria.

a cura di Andrea Malusel e Filippo Montalto, classe 5G

 

“Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte stessa, saranno pezzetti di storia, e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla storia di domani, sulla storia di domani del genere umano.”

Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, 1947

 

Il 15 ottobre 2023 si è celebrato il centenario della nascita di Italo Calvino, non solo uno dei

più importanti letterati italiani del XX secolo, ma anche un giornalista, un politico, un partigiano. Un uomo eccezionale, ricordato con grande stima e affetto da coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo. Tra questi Giordano Bruschi, testimonianza vivente della Resistenza, ha incontrato le classi quinte del liceo D’Oria per raccontare il proprio rapporto con il celebre autore, da lui incontrato di persona grazie al suo comandante di reggimento partigiano.

 

Italo Calvino proveniva da una famiglia particolare: il padre, Mario, e la madre, Eva Mameli, furono tra i pionieri nello studio delle coltivazioni esotiche. Viaggiavano continuamente per studiare nuove colture, e Italo Calvino nacque all’Avana, nel sobborgo di Santiago de las Vegas, il 15 ottobre 1923. Proprio a queste origini “latine” è dovuta la scelta del nome da partigiano “Santiago”. Nel 1942, mentre frequentava la facoltà di agraria, Calvino venne a contatto con l’ambiente antifascista attraverso le celebri figure di Piero Calamandrei, autore di Uomini e città della Resistenza. Discorsi, scritti ed epigrafi, e Teresa Mattei, partigiana e donna di grande carisma.

 

A seguito dell’uccisione da parte dei fascisti del giovane medico comandante partigiano Felice Cascione, Calvino aderì alla Resistenza nel 1944, unendosi alla divisione d’assalto “Garibaldi”. All’esperienza nella Resistenza e alla “definizione” della memoria di quest’ultima Calvino dedicò in particolare il romanzo Il sentiero dei nidi di ragno (1947) e la raccolta di racconti Ultimo viene il corvo (1949), scritti giovanili che presentano già alcune delle peculiarità essenziali dello stile dell’autore e che rappresenteranno sempre per lo stesso Calvino punti imprescindibili della sua produzione.

 

Il canto Oltre il ponte, scritto nel 1959 e dedicato alla figlia Giovanna, racconta la Resistenza in versi, concentrandosi su quello che ne fu il più profondo motore, e il senso umano più alto: la speranza, prima di tutto dei giovani, che nella lotta vedevano la prospettiva futura di un mondo migliore, in cui avrebbe dominato l’amore, nel senso più ampio in cui il termine può essere inteso. La Resistenza diventa quindi una esperienza di maturazione, di consapevolezza, e il ponte da conquistare con le armi diventa il simbolo di tutto ciò che deve essere superato per portare l’umanità al suo riscatto.

 

“Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte che è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte”

 

All’alba della Liberazione, Calvino si pose una domanda cruciale: “Quello che abbiamo fatto resterà?” Chi, insomma, avrebbe tramandato i valori per cui tanti giovani avevano dato la vita? La risposta a questa domanda vive negli occhi di Giordano Bruschi, partigiano “Giotto”, così come negli occhi delle nuove generazioni che ricevono, dandole nuova vita, la testimonianza del miracolo di migliaia di giovani che, rischiando e perdendo la propria vita, fecero una scelta, consapevole e soprattutto libera, di lotta contro le ingiustizie della società in cui vivevano.

 

Le Heroides in scena al teatro greco di Palazzolo Acreide

In scena, sul palco del teatro greco di Palazzolo Acreide

 

Il progetto Siracusa – la messa in scena di un testo della classicità, da rappresentare al Festival  del Teatro Classico – è un’iniziativa amatissima, proposta da anni dalla nostra scuola e coordinata da sempre dalla prof.ssa Marina Terrana e dal regista-attore del Teatro della Tosse Enrico Campanati. Vi possono aderire tutti gli studenti del triennio che abbiano voglia di mettersi in gioco, affrontare i propri limiti e conoscere le proprie potenzialità. Infatti, oltre a essere una splendida occasione per relazionarsi con studenti di altri corsi è un’ottima possibilità di crescita interiore e conoscenza di sé.
Sono ben ventinove gli studenti che quest’anno hanno scelto di dedicare almeno un pomeriggio alla settimana, nonostante i numerosi impegni – non solo  scolastici – a mettere in scena le “Heroides” del poeta latino Ovidio.
Si tratta di un’opera abbastanza complessa da rappresentare,  poiché non è un testo unico ma una raccolta di splendide lettere (immaginarie) scritte da donne famose, eroine del mito greco.

Il regista dello spettacolo, Enrico Campanati

Arianna, Ipsipile, Medea, Canace, Elena, Laodamia, Ero… queste le donne la cui lettera – espressione d’intenso amore o di dolore  – verrà messa in scena dai nostri attori giovedì 18 maggio al Teatro greco di Palazzolo Acreide,  sede del Festival del Teatro Classico Giovani.

Le prove in Aula Magna, prima della partenza per la Sicilia

Quattro classi quarte del liceo li accompagnano, cogliendo l’occasione di uno splendido viaggio in Sicilia che li conduce ad ammirare alcuni dei luoghi più suggestivi della Magna Grecia.
Alice Bettuelli ha voluto lasciarci una testimonianza del significato di questo progetto per lei:
Quest’anno ho deciso di partecipare al Progetto Siracusa. Non mi ero mai impegnata in un progetto simile e non pensavo che il mondo della recitazione mi sarebbe piaciuto così tanto. In tutta sincerità è un’esperienza veramente coinvolgente e significativa. 
Sia Enrico, il nostro regista, sia le professoresse che ci seguono, sin da subito ci hanno fatto sentire parte del gruppo e ci hanno spronato a far uscire il nostro lato più creativo. Con i compagni si è creata immediatamente sintonia, nonostante fossimo tutti alunni di classi diverse. Anche per questo motivo trovo il progetto importante: unisce ragazzi che probabilmente non si sarebbero mai incontrati permettendo di conoscere nuove persone e fare nuove amicizie. 
Durante gli incontri il clima nell’aria è sempre unico: voglia di divertirsi, a volte anche troppa, e tanto desiderio di far uscire qualcosa di bello, proponendo sempre idee e impegnandosi. Purtroppo non sono potuta partire per Siracusa per problemi di salute, ma avendo fatto parte del gruppo per tutto l’anno posso dire che di questa esperienza mi rimarrà tutto ciò che ho imparato, settimana dopo settimana.
Il progetto è veramente un’occasione unica, per mettersi in gioco, provare nuove emozioni e avere l’opportunità di fare un viaggio pazzesco. Ringrazio tutte le professoresse ed Enrico, anche per la pazienza!

Alice Bettuelli, 5D

La delegazione del D’Oria alla sessione nazionale del Parlamento Europeo Giovani

Mercoledì 12 aprile siamo partiti da Genova per arrivare a Trieste, la città che ci avrebbe ospitato per tutta la permanenza della sessione nazionale del Parlamento Europeo Giovani (EYP).

La delegazione del nostro liceo era formata da me, da Livia Parodi, Anna Pastorino, Beatrice Piatti, Rita Saguato e dal professore di Storia e Filosofia Santino Mele.

Una volta raggiunta la stazione di Trieste, con tutti i nostri bagagli ci siamo diretti alla famosissima Piazza Unità d’Italia dove, una volta presentati agli Organizzatori, siamo stati distribuiti nei nostri rispettivi “committees”.

I “committees” sono gruppi di lavoro costituiti da ragazzi provenienti da tutta Europa con i quali si condivide e sviluppa un lavoro proposto dagli organizzatori.

Insieme ai nostri nuovi compagni, con i quali è obbligatorio parlare inglese, per tutto il primo pomeriggio ci siamo focalizzati su quella fase del progetto chiamata “team-building”, cioè una serie di giochi di gruppo che hanno il preciso scopo di rafforzare i rapporti tra i vari compagni.

Arrivata la sera del primo giorno, sotto un diluvio pazzesco, siamo andati a mangiare tutti insieme da Rosso Pomodoro, monopolizzando letteralmente tutto il locale, monopolio che durerà per tutta l’esperienza.

Nel pomeriggio del secondo giorno il mio gruppo era già riuscito a delineare quelle linee guida che avremmo dovuto sviluppare per riuscire ad affrontare la “General Assembly” più che dignitosamente.

La “General Assembly” è il momento culmine dell’esperienza, è infatti un’assemblea nella quale si riuniscono le varie delegazioni per discutere dei problemi che hanno dovuto affrontare (problemi di natura economica, sociale, politica, ecologica etc.). E’ in quest’occasione che si aprono dei veri dibattiti con tanto di giuria e telecamere. Insomma, partecipare ad una G.A. (come la chiamano i ragazzi dell’EYP) vuol dire partecipare ad una vera e propria simulazione di un’assemblea al Parlamento Europeo.

Il venerdì, l’ultimo giorno per lo sviluppo dei nostri elaborati, l’ansia era palpabile. Tutti quanti riguardavano i punti che solo dopo poche ore avremmo dovuto riferire durante la GA.

Ricordo precisamente le camerate: erano colme di ragazzi in fibrillazione, che scherzavano e discutevano su quale parte avrebbero dovuto omettere e quale parte del discorso avrebbero dovuto obbligatoriamente riportare, correggendo bozze e ricontrollando continuamente la grammatica.

Al mattino seguente, al suono della sveglia siamo scattati tutti in piedi come dei soldatini; l’emozione e l’agitazione ci hanno fatto preparare in pochissimo tempo. Eravamo tutti bellissimi.

Nell’attesa di arrivare al palazzo che avrebbe ospitato la General Assembly, abbiamo trascorso proprio dei bei momenti, sentendoci adulti e importanti.

Il tempo è passato velocissimo tra scambi di opinioni, interventi e approfondimenti, e in un batter d’ali di farfalla è arrivato il momento in cui, dopo l’ultima presentazione, quella del mio “committee”, la giuria ha proclamato la fine della General Assembly e della 53esima Sessione Nazionale del Parlamento Europeo dei Giovani Italia.

Fatta un po’ di baldoria la sera e la notte assieme a tutti i compagni di viaggio, la delegazione del Liceo Andrea D’Oria, ha preso il treno della domenica, portandosi dietro valigie e borsoni colme di nuove conoscenze, ma soprattutto piene di emozioni e nuove amicizie.

Luca Legrottaglie

Concorso Young Women in Public Affairs promosso da Zonta International. Premiate due studentesse del Liceo Classico per l’Europa

Zonta International è un’importante organizzazione di servizio, nata negli USA nel 1919, in particolare con l’obiettivo di sostenere la condizione femminile nel mondo, e deve il suo nome ad una parola del linguaggio Sioux che significa “onesto e degno di fiducia”.  Una delle oltre trentamila socie che ne fanno parte è l’avvocato Chiara Rogione, nostra preziosissima e storica collaboratrice del Liceo Classico per l’Europa, che ci ha proposto il programma Young Women in Public Affairs (YWPA).

Avviato da Zonta International nel 1990, il programma ha lo scopo di valorizzare le giovani di età compresa tra i 16 e 19 anni che dimostrino abilità di leader e operino in attività sociali e civiche, così da incoraggiarle a continuare l’Impegno nella vita pubblica. Il concorso si svolge nei 63 paesi in cui Zonta è presente. 

Con questa iniziativa Zonta intende promuovere e incoraggiare la partecipazione delle Giovani alla vita pubblica premiando le studentesse che dimostrino attitudine allo studio, al servizio e all’impegno sociale, doti di leadership e dedizione all’avanzamento della condizione della donna , sia a livello locale che internazionale.

La nostra studentessa Bianca D’Aversa di IV A, seguita dalla sua compagna Alice Luppi al secondo posto, ha vinto il premio ligure e poi ha spiazzato tutte le altre concorrenti, in particolare svizzere e austriache, anche nella seconda fase del concorso, aggiudicandosi così uno dei premi internazionali!

Il suo brillante curriculum e la sua padronanza delle lingue straniere hanno fatto la differenza.

Bravissima, Bianca! 

Oggi, nella lotta alla mafia, a fare la differenza è l’indifferenza

di Francesca Custo, Rebecca Fineschi, Alice Villa, 2d

Non si uccide solo con le armi, il potere criminale non ha più bisogno di sparare o di
usare le forme arcaiche, i mafiosi sono parassiti che agiscono da dentro
”.

Queste le parole di Don Luigi Ciotti, presidente dell’associazione Libera, ospite al Salone del Maggior Consiglio a Palazzo Ducale di Genova nell’ultima giornata del BookPride, in occasione della presentazione del libro intitolato “Punto e a capo. Storia ed evoluzione di mafia e antimafia in Liguria” a cura di Marco Antonelli, Stefano Busi e con la prefazione di Luigi Ciotti.

Lo scopo di questa pubblicazione è quello di raccontare la storia della mafia ligure sotto diversi punti di vista, affinché i cittadini si sentano sollecitati a testimoniare, non rimanendo indifferenti alla storia di presenze mafiose della ‘ndrangheta nella sanità, nell’ambiente, nei porti, e nella politica della nostra regione. Una vicenda lontana nel tempo, come una riunione per il contrabbando di bergamotto a Ventimiglia, segnala un ‘ndrangheta non infiltrata ma già radicata nel nostro territorio fin dal 1954.

Molti sono gli uomini citati da Don Ciotti che hanno lottato contro questo male in Sicilia e non solo:

Pio La Torre, ucciso il 30 aprile 1982, quattro mesi prima dell’introduzione della legge da lui promossa, detta poi “Rognoni-La Torre”, che introdusse nel codice penale l’articolo che prevedeva per la prima volta il reato di “associazione di tipo mafioso” e la confisca dei patrimoni di provenienza illecita.

Carlo Alberto dalla Chiesa nominato prefetto a Palermo per contrastare Cosa Nostra e dopo solo quattro mesi dal suo insediamento ucciso a Palermo il 3 settembre del 1982 insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro.

Il generale Carlo Alberto dalla Chiesa

 

Il magistrato Bruno Caccia

Bruno Caccia, Procuratore della Repubblica a Torino, vittima di un agguato criminale il 23 giugno 1983, a causa delle sue indagini sui traffici della ‘ndrangheta in Piemonte.

Don Ciotti ricorda che Libera è una rete di associazioni che dal 1995 si sono unite non solo contro le mafie, la corruzione e le dipendenze ma soprattutto per la giustizia sociale, la ricerca di verità e per una politica trasparente perché come aveva detto Don Luigi Sturzo il crimine da organizzato è diventato NORMALIZZATO:

«La mafia stringe nei suoi tentacoli giustizia, polizia, amministrazione, politica; la mafia oggi serve per domani essere servita, protegge per essere protetta, ha i piedi in Sicilia ma afferra anche a Roma, penetra nei gabinetti ministeriali, nei corridoi di Montecitorio, viola segreti, sottrae documenti, costringe uomini creduti fior d’onestà ad atti disonoranti e violenti. Il dubbio, la diffidenza e la tristezza invadono l’animo dei buoni e si finisce per disperare. È la rivelazione spaventevole dell’inquinamento morale dell’Italia, sono le piaghe cancrenose della nostra Patria, l’immoralità trionfante nel governo».

Queste parole sono tratte dal testo teatrale, “La mafia”, che Don Luigi Sturzo, fece rappresentare nel febbraio del 1900 al Teatro Silvio Pellico, di Caltagirone, sua città natale e che per la prima volta in assoluto osavano raccontare il fenomeno mafioso.

Don Ciotti conclude poi con un’ultima osservazione.  Specifica che non basta tagliare l’erba in superficie, perché l’ultima mafia è sempre la penultima, perciò si deve estirpare il marcio dalla radice altrimenti si rigenererà e per farlo bisogna salvaguardare le Istituzioni che sono sacre e potenziare l’educazione fondandola sui tre pilastri del vivere civile: Impegno, Memoria, Cultura.

Finché non ci saranno abbastanza conoscenze sull’argomento, la mafia continuerà ad esistere ma ognuno di noi è chiamato a fare la propria parte.

 

Una miniera da scoprire

Oggi sempre più italiani ambiscono alle vacanze in territorio estero, c’è la tendenza a pensare che le cose più belle siano sempre lontano da noi. Indubbiamente volare a dieci ore di distanza ci permette di conoscere realtà nuove e diverse che ci affascinano molto.

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