L’altra faccia della Casa dello Studente. Visita ai sotterranei e incontro con il partigiano “Giotto”

di Benedetta Lorenzon e di Benedetta Pittaluga, 3D

Il 16 aprile 2024, in occasione della 79esima giornata della Liberazione, il 25 aprile, tre classi del Liceo Classico Andrea D’Oria sono andate in visita alla Casa dello Studente. Dietro un edificio apparentemente normale in cui gli studenti universitari fuori sede trovano alloggio, infatti, si cela una storia terribile, ma realmente accaduta e che, per questo, bisogna conoscere. Le atrocità della Seconda Guerra Mondiale che sembrano tanto lontane da noi si sono, infatti, verificate in un luogo davanti a cui tutti i genovesi, almeno una volta nella vita, sono passati.

La Casa dello Studente divenne operativa nel 1935 con le stesse finalità che ha oggigiorno. Gestita dal Partito Nazionale Fascista, la Casa era un luogo che Benito Mussolini utilizzava per portare avanti la propria propaganda. Lì studiavano ragazzi borghesi, provenienti da famiglie molto benestanti, in una sorta di “paradiso”. La Casa era, infatti, dotata di camere spaziose e confortevoli, di giochi, come il biliardo, in cui i ragazzi potevano cimentarsi. Consisteva, di fatto, in un luogo in cui i giovani potevano studiare, socializzare e divertirsi: era un’ottima prigione d’oro in cui rinchiudere i ragazzi e impedire loro di capire ciò che il regime realmente faceva.

La storia della Casa ebbe una svolta durante gli anni finali della guerra in cui divenne sede della Gestapo e un luogo di tortura di prigionieri politici, partigiani ed antifascisti.

Il 23 aprile 1945, con l’approssimarsi della Liberazione, i tedeschi abbandonarono l’edificio bruciando tutta la documentazione che attestava le torture tenutesi in quel luogo.

Nei mesi successivi, il Comune di Genova decise di mettere la Casa dello Studente a disposizione delle famiglie che, a causa dei bombardamenti, avevano perso la casa. L’amministrazione comunale, però, si scontrò con quella universitaria, che voleva che la Casa tornasse ad avere la sua originaria funzione. Alla fine, nel 1946, la Casa fu restituita all’università. Le celle e le cantine, dove erano avvenute le torture, tuttavia, furono murate insieme al rifugio antiaereo. In questo momento storico, infatti, era necessario portare avanti un ben preciso messaggio propagandistico: non era stata l’Italia la causa della guerra, ma solamente la Germania nazista. In un momento di passaggio quale quello del dopoguerra era, infatti, fondamentale che nei cittadini italiani sorgesse un sentimento patriottico.

La situazione, tuttavia, cambiò con le proteste del 1968: gli studenti iniziarono a sentire l’esigenza di rievocare ciò che realmente era successo poco più di due decenni prima. Nel 1972, durante un’occupazione della Casa dello Studente da parte di studenti, un ex partigiano di nome Livio indicò uno degli ingressi alle celle della tortura. Dopo varie notti di lavoro, i compagni di Lotta Comunista (la Casa era diventata nel ’68 sede del gruppo extraparlamentare) riuscirono a praticare un foro nel muro con cui erano stati chiusi i luoghi delle torture.

Questi locali furono adibiti a Museo della Resistenza e gli studenti lo dedicarono a Rudolf Seiffert, un tedesco che si oppose ad Adolf Hitler e che, per questo, venne giustiziato. Avendo egli, tuttavia, una gamba di legno, riuscì a nascondere in questa una lettera con cui rivolgeva l’ultimo saluto alla famiglia. Gli studenti non dedicarono, dunque, la Casa a un italiano, come forse risulterebbe spontaneo pensare dal momento che la Casa si trova nel nostro Paese, ma proprio a questo operaio tedesco. Infatti non è vero che tutti i tedeschi fossero allineati con il regime nazista: questa idea è il frutto di una strumentalizzazione della politica italiana, per sminuire le reali responsabilità storiche del fascismo rispetto alla sua controparte tedesca. Gli studenti, dunque, andando contro la propaganda, dichiararono con questo atto la necessità di ricordare ciò che era successo, tanto più che era accaduto anche a causa di italiani, genovesi, nostri concittadini.

La visita presso la Casa da parte degli studenti del Liceo Classico Andrea d’Oria prosegue con un incontro con un ex partigiano: Giordano Bruschi, noto come “Giotto” durante la guerra.

Innanzitutto, Giordano Bruschi ha delineato il contesto storico nel quale si era affermato il fascismo e ci ha spiegato come veniva percepito questo governo all’epoca: “Il fascismo inizialmente sembrava un’epoca trionfale per l’Italia, con un grande capo, l’uomo solo al comando. Mussolini, però, ha portato l’Italia nel baratro, anno dopo anno; ha dichiarato guerra a dieci paesi. Mussolini non si fermava più, perché pensava che più guerre faceva e più sarebbe stato apprezzato. Questo in realtà è stato il fascismo, la guerra, e poi ne abbiamo patito le conseguenze. La prima di tutte queste conseguenze è stato un cartellino, la tessera annonaria: non si era più liberi di comprare nei negozi, ma bisognava avere questo tagliandino.  Poi vennero anche ridotte le razioni, eravamo affamati. E’ la nostra storia, della fame e della guerra.”

“All’inizio invadevamo i paesi, abbiamo fatto delle cose orribili. Nella storia dell’umanità si cerca di creare sempre la sensazione che noi siamo le vittime, che gli avversari sono cattivi e che ci fanno del male, ma noi abbiamo usato per primi i gas asfissianti in Etiopia. Noi ragazzini di allora come voi andavamo per le strade a cantare che era bello che ci fosse la guerra, con la guerra si occupavano territori; una delle canzoncine che ci insegnavano faceva così:”Osteria dei tre boschetti, in Italia siamo stretti, allungheremo lo stivale fino all’Africa orientale”.

Giotto poi ci ha raccontato la storia di Antonio Gramsci e l’origine del termine partigiano. Inoltre, ci ha invitato a riflettere sull’indifferenza, un tema attualissimo ancora oggi: “Gramsci aveva fondato un giornale di giovani socialisti: “Città futura”. Questo giornale rappresentava il desiderio di quello che poteva essere l’avvenire. L’undici febbraio del 1917 Gramsci fu il primo ad utilizzare una parola che oggi è diventata famosa: partigiano. Gramsci diceva: “Sono partigiano come uomo di parte”. Contemporaneamente, aveva scritto una cosa fondamentale, che dovrebbe essere di insegnamento per ognuno di voi. Aveva scritto “Odio gli indifferenti”. Gli indifferenti sono quelli che non vogliono partecipare, che non vogliono interessarsi delle cose pubbliche, dell’uguaglianza e della giustizia. Il fascismo condannò Gramsci a vent’anni di reclusione. Questo è stato il fascismo, chi non era d’accordo con il partito fascista andava in carcere. In carcere Gramsci fu isolato. Del processo di Gramsci è rimasta famosa la frase: ”Bisogna impedire al cervello di Gramsci di funzionare per vent’anni”. Una frase che dovremmo tutti ricordare, pensate a come era la magistratura allora.”

Giotto e il Circolo Sertoli hanno inventato il “Calendario del popolo antifascista-la resistenza partigiana giorno per giorno”, nel quale, ogni giorno dell’anno, si ricordano personalità che hanno lottato contro il regime fascista: “Abbiamo pensato che fosse importante ricordare anche chi ha fatto del bene, chi ha lottato per la libertà e abbiamo inventato questo calendario.  Qui c’è la storia popolare, che riguarda genovesi, italiani, sacerdoti, operai, contadini. E’ importante ricordare da dove veniamo. Ogni giorno c’è il ricordo di quelli che sono stati i nostri combattenti.”

Giotto inoltre ci ha spiegato come un grande autore della letteratura italiana, Italo Calvino, ha trattato il tema della resistenza nella poesia “Oltre il Ponte”: “Italo Calvino ha dedicato una poesia alla figlia Giovanna, la poesia “Oltre il ponte”. Pensate a come Calvino descrive la realtà partigiana, con l’amore che un papà ha per la propria figlia. In due versi c’è l’essenza della resistenza: “Siam pronti, chi non vuole chinare la testa con noi prenda la strada dei monti.”. “

Ci fu la resistenza anche in altri Paesi, in Francia, in Iugoslavia, in Grecia e anche nella stessa Germania, ma secondo Giordano la resistenza italiana fu di una forza maggiore a quella delle altre resistenze: “La resistenza d’Italia è una resistenza che dà lezione alle altre resistenze. L’ampiezza della resistenza italiana non si è vista da nessuna parte. La storia della resistenza è una storia popolare.”

Giordano, inoltre, ci ha raccontato la storia di alcune personalità ricordate nel calendario, tra cui quella di Don Angelo Bobbio e quella di Ottavio Moro e della figlia Stefanina Moro: “Nel nostro calendario, la giornata del 3 gennaio è dedicata a un sacerdote, Don Angelo Bobbio, che venne condannato a morte dai fascisti perché diceva la Messa ai partigiani. Il comandante del plotone dell’esecuzione chiese a Don Angelo Bobbio se voleva pregare e Don Angelo Bobbio disse: ”Non ho bisogno di pregare per me, ma pregherò per voi che mi uccidete.”

“Il partigiano del giorno di oggi (16 aprile) è Ottavio Moro, camallo di Genova. Ottavio Moro aveva una figlia di nome Stefanina e l’aveva educata al senso della libertà. Ottavio Moro morì in battaglia. Stefanina, a sedici anni, decise di partecipare alla lotta e decise di fare quello che fecero tante altre donne partigiane: fece la staffetta. L’arma fondamentale di Stefanina Moro era la bicicletta: pedalava tra un luogo e l’altro della città per comunicare i messaggi del comitato di liberazione. Tante staffette morirono perché sapevano molte informazioni riguardo alla resistenza. Stefanina Moro venne arrestata e i fascisti cercarono di farla parlare; fu orribilmente torturata ma non parlò. Sono tutti episodi veri quelli che caratterizzano queste storie, alcuni accaduti qui.”

Questo incontro è stato molto interessante e coinvolgente e inoltre ci ha invitato a riflettere molto su un periodo storico cronologicamente non molto lontano da noi caratterizzato da grandi atrocità. Inoltre, abbiamo potuto capire quanto temi attuali allora, come l’indifferenza, il coraggio, la presa di posizione,  possano esserlo ancora oggi, perché i resistenti ci furono allora come possono esserci anche oggi e in futuro: “Finché ci sarà un attimo di ingiustizia nel mondo dobbiamo fare in modo che qualcuno di noi lotti per la libertà.”

 

Fonte immagine in evidenza: genova24.it

 

 

 

L’enciclopedia d’Italia di Aldo Cazzullo

di Matteo Barcella, Chiara Capitanio, Greta Mumolo, 4B

 “Enea è l’eroe pio, misericordioso, che si fa carico del passato e del futuro, che fugge da Troia in fiamme, col padre Anchise sulle spalle e il figlio Iulo […] l’eroe degli antenati e dei discendenti”

Viene evocato così il progenitore delle genti romane, da Aldo Cazzullo, giornalista del Corriere della Sera, conduttore di Una giornata particolare su La7, ospite al Liceo Classico A. D’Oria per presentare lo spettacolo Il duce delinquente in scena al Teatro Modena di Genova.

Interrogato dalle domande degli studenti, raduna, come in un’enciclopedia, l’identità della nostra nazione.

“Non è nata dalla politica, dalla diplomazia, dalla guerra, ma è nata dall’arte, dalla bellezza, dalla cultura, dai versi di Dante, dagli affreschi di Giotto, dal Rinascimento. L’Italia è una nazione culturale” – afferma Cazzullo in un continuo riferimento ai veri fondamenti delle società del passato.

Si sofferma sulla pluralità delle personalità che hanno influenzato le scene del passato, da Virgilio, tanto amato dal Medioevo, che ha donato alla letteratura un nuovo modello di sentirsi italici, sino alle donne del “We can do it”, che come eroine ovidiane, hanno mantenuto salda l’economia durante la guerra.

È un viaggio di parole che attraversa anche le pagine nere del fascismo, ovvero quella mitomania che ha rinchiuso la penisola in una gabbia di ostilità e intolleranze, con a capo la criminalità, che lo spettacolo di Cazzullo ha sviscerato in una attenta introspezione dei vertici delle camicie nere.

Una continua contrapposizione fra “una Italia che fornisce molti mezzi per parlar male di lei”, che ancora soffre la disparità di genere, mentre allo stesso tempo ha partorito chi la rese fiera di essere nazione, sebbene il suo particolarismo territoriale e politico.

Qui giace Raffaello da lui, quando visse, la natura temette d’essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire – ricorda Cazzullo l’epitaffio della tomba di Raffaello, sita nel Pantheon, l’emblema dello spirito di integrazione dei romani, che avevano dedicato un tempio a tutte le divinità dell’impero, dal vecchio Giove al nuovo culto di Mitra.

Le sue parole si fanno copione la sera del 26 gennaio. Durante lo spettacolo messo in scena al Teatro Modena, tratto dal suo saggio “Mussolini il capobanda”, Aldo Cazzullo ripercorre gli anni bui del fascismo, accompagnando lo spettatore tra i meandri della mente di Mussolini, protagonista indiscusso di quest’epoca. Cazzullo dipinge un ritratto estremamente cruento del duce, non maschera l’orrore delle sue azioni ma da loro voce per rivendicare la memoria delle vittime innocenti del fascismo. Mussolini viene presentato sotto un’ottica diversa rispetto al consueto, non soltanto come politico intransigente, ma anche come uomo senza scrupoli, nella vita privata e nei confronti dei suoi affetti personali.

Moni Ovadia prende in prestito le voci dei protagonisti del ventennio con minuziose imitazioni, si fa narratore e cantore di invasori e oppressi, vincenti e sconfitti, carnefici e vittime. Ebraico, greco, russo, spagnolo, tedesco, un viaggio tra lingue di popoli diversi tra loro ma uniti dal sangue versato negli anni della Seconda Guerra Mondiale.

Parole e canti non si perdono nel silenzio, ma vengono sospinte dolcemente dalle note della poliedrica musicista Giovanna Famulari, tra suoni dolci e delicati quanto profondi e oscuri degli strumenti che maneggia con maestria: violoncello, tastiera, armonica. Due sole mani si destreggiano in una colonna sonora varia ed emozionante e come se sul palco la musicista non fosse soltanto una, più strumenti producono melodie all’unisono.

‘’Il duce delinquente’’ sarà mandato in onda su la7 la sera del 24 aprile in onore della festa della Liberazione, perché ancora troppo spesso qualcuno afferma che Mussolini ‘’ha fatto anche delle cose buone’’ e che il suo unico errore sia stato quello di entrare in guerra. Il fascismo è ancora oggi una ferita aperta del nostro paese, un’ombra che l’Italia continua a portarsi dietro, e, sebbene molti riconducano questo fenomeno esclusivamente al secolo scorso, in realtà le sue ripercussioni affiorano anche nel nostro presente, manifestandosi nella vita di tutti i giorni in maniera più o meno velata.