Il racconto della gioventù di Don Ciotti, esempio di forza e perseveranza per imparare a navigare in mezzo alle tempeste di un mondo con tante disuguaglianze.

di Odino Laura, 2D

 

Don Ciotti ha incontrato gli studenti liceali  presso il Liceo “M. L. King” di Genova per discutere di legalità. Il sacerdote ha voluto creare empatia con i ragazzi, ha infatti strutturato l’incontro partendo da una brevissima introduzione e poi lasciando subito spazio alle domande.

Don Ciotti ha raccontato di provenire da una famiglia povera, ma allo stesso tempo molto dignitosa. Si erano trasferiti dalle Dolomiti a Torino: lì vivevano in una “baracca in un cantiere” e molti li additavano come “straccioni”. La madre non poteva permettersi nemmeno la divisa scolastica per il bambino e si era molto scusata con la maestra. Quei pregiudizi riguardanti la famiglia di origine in un certo modo perseguitavano il piccolo Luigi. Dopo venti giorni di elementari infatti, la maestra, entrata nella classe di Ciotti, forse già provata per motivi personali, si era accanita immotivatamente con il piccolo Luigi e si era fatta scappare nei suoi confronti l’espressione “montanaro”. I compagni di classe iniziarono a gridare questa parola in coro e il bambino non resse, prese il calamaio e lo tirò alla maestra. Il ricordo di questo avvenimento ha voluto sottolineare il fatto che i genitori dei suoi compagni di classe non abbiano cercato di capire il motivo di quel gesto sicuramente sbagliato, ma abbiano soltanto messo in guardia i figli a non stare più con quel bambino. Da questo episodio possiamo quindi capire l’animo di Don Ciotti, già intollerante di fronte alle ingiustizie e diseguaglianze fin da piccolo. La madre gli diede una punizione molto severa e lui oggi è grato di ciò, perché gli ha fatto capire che alla violenza, sia verbale che fisica, non si deve per alcun motivo rispondere con altra violenza.

Un altro fatto che cambiò radicalmente la sua vita fu l’incontro che ebbe, all’età di diciassette anni, con una persona divenuta per lui molto speciale. Tutte le mattine, quando andava a scuola, vedeva un uomo che leggeva su una panchina. Cercò fin da subito di aiutarlo e di parlargli. Quella persona era senza fissa dimora e inizialmente era talmente indifferente alle parole del ragazzo, che a Ciotti venne il dubbio che fosse sordo. Quando finalmente si aprì un dialogo, si instaurò una specie di fugace amicizia. Raccontò che era un medico e che aveva subito una pesante “tempesta”: da quella panchina aveva avuto modo di osservare come molti giovani si stessero rovinando la vita con droghe e alcol ed esortò Ciotti a fare qualcosa. Le parole di conforto di Luigi riuscirono in qualche modo a incidere sull’animo di quell’uomo e in qualche modo a migliorare la sua vita. Ciotti dice che il giorno dopo quella confessione l’“amico” non era più seduto su quella panchina, perché se ne era andato via per sempre durante la notte. Don Ciotti sapeva che quell’incontro non poteva essere frutto del caso, ma avrebbe davvero dovuto dare una svolta alla sua vita. Era quindi, fin dalla giovane età, uno spirito molto forte e tenace, già predisposto ad aiutare gli altri. Ma si potrebbe dire che Don Ciotti sia riuscito ad allargare veramente i suoi orizzonti quando, durante un incontro riguardo la mafia e i soprusi, conobbe il giudice Falcone. I due si erano messi a parlare e si  sarebbero dovuti vedere per un caffè. Quel caffè però non lo presero mai, perché il giudice Falcone fu ucciso. A quel punto Don Ciotti pensò che avrebbe dovuto fare qualcosa e decise di fondare l’associazione Libera.

Questa associazione nasce dai sogni di un ragazzo, che si interroga sui grandi problemi del mondo. Da qualcosa di piccolo e apparentemente insignificante, come offrire un tè ad una persona su una panchina, nasce un vero e proprio ideale, che diventa un qualcosa di veramente grande. Libera infatti è un’associazione che opera in tutto il pianeta, dall’Italia al Sud America. Dagli incontri avuti, Don Ciotti si è quindi reso conto delle necessità della sua epoca. L’idea di Don Ciotti è ben precisa:

Non si può sempre aspettare i governi e le istituzioni per cambiare le cose, ma i singoli cittadini devono impegnarsi per la libertà comune.

Don Ciotti ripete molte volte che non è lui stesso a combattere, ma siamo tutti noi.

Nella sua lotta alla mafia ha messo molte volte a rischio la sua vita e anche oggi non ha paura di fare ciò, in quanto sa che è circondato da persone con i suoi stessi obiettivi, che porteranno avanti in ogni caso il lavoro da lui iniziato.

Verso la fine dell’incontro il sacerdote ha trattato il tema della solitudine. Don Ciotti ha augurato a noi giovani di fare esperienza della solitudine, che però non deve essere confusa con l’isolamento. La solitudine è, secondo lui, molto importante, perché permette di conoscere meglio se stessi e le varie sfaccettature del proprio carattere. Per solitudine ha inteso dire anche staccarsi dai cellulari, che spesso rendono la nostra vita frenetica e sempre meno improntata alla riflessione.

La mafia teme la scuola più che la giustizia

di Aurora Borriello, Eleonora Capone, Alessia Grandicelli, 2B

Due incontri preziosi

“La mafia teme la scuola più che la giustizia e l’istruzione toglie l’erba sotto i piedi della cultura mafiosa”.

Ne era convinto Antonino Caponnetto, il noto magistrato italiano alla guida del Pool antimafia ideato da Rocco Chinnici: è necessario riflettere e lavorare nelle scuole sul concetto di legalità, cioè sulla consapevolezza che un comportamento corretto e rispettoso delle leggi è un valore. Anche e soprattutto quando tutto intorno a noi sembra negarlo.

Come ci spiegano le persone che hanno avuto a che fare con la mafia, è fondamentale discutere della mafia e della sua iniquità. La vera arma per combattere questo genere di criminalità sono infatti la conoscenza e la denuncia dei fatti.

Quest’anno, sono stati due gli incontri che ci hanno permesso di comprenderlo molto bene: quello con Tiberio Bentivoglio, testimone di giustizia, ci ha raccontato la sua vicenda con la mafia e quello con Giovanni e Francesca Gabriele, genitori di una vittima innocente, che sono venuti a tener viva la memoria di loro figlio ucciso nel 2009, Domenico Gabriele.

Un percorso di letture … ad alta voce

Prima degli incontri abbiamo deciso di approfondire l’argomento leggendo ad alta voce un libro curato da Don Ciotti, fondatore di Libera, “La classe dei banchi vuoti”.

Si tratta di una raccolta di storie che parla delle vittime innocenti della mafia. L’autore ha immaginato di rappresentare in un’aula nove bambini , vittime innocenti di mafia: i banchi dell’aula alla fine della lettura rimanevano vuoti e  nessuno più rispondeva all’appello,  a rappresentare simbolicamente la fine delle brevi vite di ciascun bambino. 

Per arricchire le nostre conoscenze riguardo al tema, in classe abbiamo letto, suddivisi in gruppi,  quattro libri: “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia un romanzo giallo in cui l’autore indaga le caratteristiche della mafia, l’omertà dei siciliani ed il ruolo della politica, spesso complice della criminalità organizzata. Sciascia attraverso questo libro si schiera contro i politici che, spesso, sono complici della mafia, ma anche contro l’omertà dei siciliani che attraverso il silenzio finiscono per dare sostegno alla mafia.

Per arricchire le nostre conoscenze riguardo al tema, in classe abbiamo letto, suddivisi in gruppi,  quattro libri: “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia un romanzo giallo in cui l’autore indaga le caratteristiche della mafia, l’omertà dei siciliani ed il ruolo della politica, spesso complice della criminalità organizzata. Sciascia attraverso questo libro si schiera contro i politici che, spesso, sono complici della mafia, ma anche contro l’omertà dei siciliani che attraverso il silenzio finiscono per dare sostegno alla mafia.

“La mafia spiegata ai ragazzi”  di A. Nicaso  si apre invece con un’ esperienza personale dell’autore, la conoscenza di un bambino vittima della mafia, a cui era stato ucciso il padre che si era rifiutato di comprare il ferro dai mafiosi della zona.

Nicaso subito spiega lo scopo della mafia: il guadagno. Non solo di soldi, ma anche di potere, di prestigio, raggiungibile con qualsiasi mezzo, violenza inclusa. 

“Non chiamateli eroi” di N. Gratteri e A. Nicaso, racconta delle vittime innocenti di mafia: ci ha particolarmente colpito la figura di Santino Di Matteo.

Il nostro progetto

Ogni gruppo ha poi preparato una lezione in cui leggere brani significativi dei libri letti, spiegarne il contenuto e coinvolgere gli ascoltatori sollecitandone la partecipazione, secondo le indicazioni che ci sono state fornite nell’incontro di lettura ad alta voce con Panagiota Dimopolou, coordinatrice del circolo  della LaAV di Genova.

Infine abbiamo esposto il lavoro che ha riscosso più successo a una classe del nostro liceo. Il libro prescelto è stato “Io dentro gli spari” che narra la vicenda di Santino, un ragazzino siciliano di circa nove anni che assiste all’omicidio del padre e del nonno da parte della mafia con cui erano entrati in contatto viste le difficoltà economiche. Proseguendo con la storia Santino sarà costretto a trasferirsi e a cambiare identità.

Grazie alle numerose testimonianze che abbiamo ricevuto in questi mesi abbiamo compreso il significato della giustizia e del valore della vita. Un concreto esempio sono stati i genitori di Dodó che, commossi e addolorati, hanno trasmesso un messaggio significativo a noi ragazzi guardandoci con la forte speranza di poter cambiare il futuro in meglio.

Oggi, nella lotta alla mafia, a fare la differenza è l’indifferenza

di Francesca Custo, Rebecca Fineschi, Alice Villa, 2d

Non si uccide solo con le armi, il potere criminale non ha più bisogno di sparare o di
usare le forme arcaiche, i mafiosi sono parassiti che agiscono da dentro
”.

Queste le parole di Don Luigi Ciotti, presidente dell’associazione Libera, ospite al Salone del Maggior Consiglio a Palazzo Ducale di Genova nell’ultima giornata del BookPride, in occasione della presentazione del libro intitolato “Punto e a capo. Storia ed evoluzione di mafia e antimafia in Liguria” a cura di Marco Antonelli, Stefano Busi e con la prefazione di Luigi Ciotti.

Lo scopo di questa pubblicazione è quello di raccontare la storia della mafia ligure sotto diversi punti di vista, affinché i cittadini si sentano sollecitati a testimoniare, non rimanendo indifferenti alla storia di presenze mafiose della ‘ndrangheta nella sanità, nell’ambiente, nei porti, e nella politica della nostra regione. Una vicenda lontana nel tempo, come una riunione per il contrabbando di bergamotto a Ventimiglia, segnala un ‘ndrangheta non infiltrata ma già radicata nel nostro territorio fin dal 1954.

Molti sono gli uomini citati da Don Ciotti che hanno lottato contro questo male in Sicilia e non solo:

Pio La Torre, ucciso il 30 aprile 1982, quattro mesi prima dell’introduzione della legge da lui promossa, detta poi “Rognoni-La Torre”, che introdusse nel codice penale l’articolo che prevedeva per la prima volta il reato di “associazione di tipo mafioso” e la confisca dei patrimoni di provenienza illecita.

Carlo Alberto dalla Chiesa nominato prefetto a Palermo per contrastare Cosa Nostra e dopo solo quattro mesi dal suo insediamento ucciso a Palermo il 3 settembre del 1982 insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro.

Il generale Carlo Alberto dalla Chiesa

 

Il magistrato Bruno Caccia

Bruno Caccia, Procuratore della Repubblica a Torino, vittima di un agguato criminale il 23 giugno 1983, a causa delle sue indagini sui traffici della ‘ndrangheta in Piemonte.

Don Ciotti ricorda che Libera è una rete di associazioni che dal 1995 si sono unite non solo contro le mafie, la corruzione e le dipendenze ma soprattutto per la giustizia sociale, la ricerca di verità e per una politica trasparente perché come aveva detto Don Luigi Sturzo il crimine da organizzato è diventato NORMALIZZATO:

«La mafia stringe nei suoi tentacoli giustizia, polizia, amministrazione, politica; la mafia oggi serve per domani essere servita, protegge per essere protetta, ha i piedi in Sicilia ma afferra anche a Roma, penetra nei gabinetti ministeriali, nei corridoi di Montecitorio, viola segreti, sottrae documenti, costringe uomini creduti fior d’onestà ad atti disonoranti e violenti. Il dubbio, la diffidenza e la tristezza invadono l’animo dei buoni e si finisce per disperare. È la rivelazione spaventevole dell’inquinamento morale dell’Italia, sono le piaghe cancrenose della nostra Patria, l’immoralità trionfante nel governo».

Queste parole sono tratte dal testo teatrale, “La mafia”, che Don Luigi Sturzo, fece rappresentare nel febbraio del 1900 al Teatro Silvio Pellico, di Caltagirone, sua città natale e che per la prima volta in assoluto osavano raccontare il fenomeno mafioso.

Don Ciotti conclude poi con un’ultima osservazione.  Specifica che non basta tagliare l’erba in superficie, perché l’ultima mafia è sempre la penultima, perciò si deve estirpare il marcio dalla radice altrimenti si rigenererà e per farlo bisogna salvaguardare le Istituzioni che sono sacre e potenziare l’educazione fondandola sui tre pilastri del vivere civile: Impegno, Memoria, Cultura.

Finché non ci saranno abbastanza conoscenze sull’argomento, la mafia continuerà ad esistere ma ognuno di noi è chiamato a fare la propria parte.