Pensare significa ringraziare

La filosofia come arte di vita, nell’intervento al Ducale di Simone Regazzoni

di Rocco Ciliberti e Giovanni Agosti, classe 4B

Viviamo in un’epoca dominata da social media e comunicazione istantanea in cui  il pensiero rischia di essere relegato a un semplice esercizio mentale, disconnesso dalla realtà. C’è però un modo per evadere da questa realtà opprimente.

Come affermava il filosofo Martin Heidegger, “pensare significa ringraziare”. L’affermazione non è solo un invito alla riflessione, ma è anche una chiamata a riconoscere il valore dell’eredità culturale che ci è stata trasmessa, sviluppando la capacità di tradurla in un’esperienza concreta.

L’atto del pensare, visto in quest’ottica, diventa un atto di gratitudine. Ogni pensiero deve trovare risposta in un’eredità, dando al presente un’interpretazione che si origina da un passato ricco di significato. Eppure, in un mondo in cui il pensiero è spesso confinato nella bolla dei social, è fondamentale riscoprire la fatica del pensiero, che non indica una fatica fine a sé stessa, ma un processo necessario per uscire dalla zona di comfort e abbracciare la trasformazione personale.

Simone Regazzoni

Come affermava Platone, “non dobbiamo essere zoppi davanti alla fatica per diventare filosofi”. La fatica, quindi, non è un ostacolo, ma un ponte verso la sapienza.
Simone Regazzoni, filosofo contemporaneo, intervenuto al Convegno ““Spiritualità, gentilezza, consapevolezza: in cammino verso uno stile di vita etico e libero” tenutosi a Palazzo Ducale il 19 novembre, ci ha invitato a riflettere intorno a un concetto fondamentale: la filosofia non è solo un insieme di teorie astratte, ma un vero e proprio stile di vita, come suggerisce l’espressione greca τέχνη του βίου.

 

Applicando questo concetto si presuppone che la filosofia debba essere vissuta, incarnata sia nel nostro corpo che nella nostra mente. Non bisogna trascurare il corpo nel nostro percorso di crescita intellettuale ma, al contrario, è solo attraverso l’unione di mente e corpo che possiamo diventare filosofi completi.

Il miglior esempio che offre un’immagine potente di questo processo è il mito della caverna di Platone: gli uomini, seduti con la schiena contro il muro, devono alzarsi per scoprire la luce della verità. Il primo a compiere questo gesto è colui che inizia il suo cammino filosofico, un movimento che simboleggia la vita stessa. Per i greci il movimento era sinonimo di esistenza, noi infatti siamo vivi perché ci muoviamo, sforzandoci di superare le nostre limitazioni.

Diventa, quindi, cruciale, in un’epoca in cui il pensiero può facilmente diventare passivo, riscoprire il valore della fatica. Ogni passo verso la conoscenza richiede sforzo e impegno, e ogni pensiero profondo è il risultato di un’interrogazione attiva del mondo che ci circonda. Dobbiamo essere grati per questa fatica, perché è attraverso di essa che possiamo veramente comprendere l’essenza e la profondità delle cose.
Pensare quindi è un atto di gratitudine verso il passato e un impegno verso il futuro. La filosofia, come stile di vita, ci invita a integrare mente e corpo, a muoverci verso la luce della verità e a non temere la fatica. Solo così possiamo diventare filosofi completi capaci di affrontare le sfide del presente e di costruire un futuro migliore.
In conclusione quindi possiamo dire che la vera filosofia non è solo pensiero, ma è anche un movimento, un viaggio che ci porta oltre i confini del conosciuto, verso un’illuminazione sempre più profonda.

False credenze e fake news. Un mondo inarrestabile?

https://www.cicap.org/n/articolo.php?id=27853

Liceo classico D’Oria: con Massimo Polidoro riunione in streaming sulla scienza dell’incredibile

di Carola Caruso, 1E

Al giorno d’oggi, nonostante tutti i grandi progressi compiuti nel mondo del sapere e della conoscenza, sta emergendo, in modo impetuoso, il problema delle fake news.

Sono notizie false, che si diffondono velocemente e in grandi quantità attraverso i nuovi affermati canali di comunicazione: i social e, in generale, tutte le piattaforme digitali.

Sono articoli spesso corredati da immagini curiose e titoli appariscenti, che catturano abilmente la nostra attenzione e ci spingono a condividere immediatamente la notizia con altri, innescando una reazione a catena.

https://www.wittenberg.edu/news/05-28-20/what-fake-newsAd una prima lettura sembrano contenere informazioni vere ma il più delle volte presentano dati che, a livello scientifico, non sono per nulla credibili. Sempre più persone si affidano a queste notizie, credendo di aver trovato risposte alle proprie domande, chiarimenti ai propri dubbi,   spiegazioni valide alla osservazione dei fenomeni che accadono nella vita quotidiana.

Tutto ciò avviene anche perché, oggigiorno, si è sempre “di fretta”. La “fretta” è una delle caratteristiche principali della nostra società. Ogni faccenda e ogni impegno viene svolto velocemente, di corsa, quasi senza pensare. Controllare la veridicità dei fatti contenuti in un articolo (il cosiddetto “fact-checking”) sembra difficile, in quanto verificare le informazioni è un compito che richiede tempo. E di tempo ne abbiamo poco.

https://www.cypherlearning.com/blog/k-20/teach-your-students-how-to-spot-fake-news

Ma perchè vengono create le fake news? Alla loro base può esserci un motivo economico, politico, propagandistico oppure, semplicemente, perché si vuole ottenere dei click o delle visualizzazioni in più.

Chiunque può creare fake news ed in qualunque momento. Molto spesso, i periodi di maggiore difficoltà, di insicurezza e di debolezza generale sono quelli in cui vengono prodotte maggiormente. Basta pensare solamente a tutte le “bufale” che sono state diffuse durante il periodo della pandemia da Covid, come quelle riguardanti i possibili rimedi di guarigione a cui molte persone si sono affidate, sopraffatte dalla paura e dalla disperazione.

Cercare sicurezza e certezze a tutti i costi è un modo per placare la nostra ansia e per trovare protezione dagli eventi imprevedibili che possono capitare ad ognuno di noi. Questo è lo stesso motivo che ha alimentato da sempre le false credenze e le superstizioni. Non passare sotto una scala, non aprire un ombrello in luoghi chiusi, evitare che un gatto nero ci attraversi la strada, toccare ferro è un modo che abbiamo per sentirci più forti, invulnerabili e al sicuro dalle situazioni negative e spiacevoli. Come se, compiendo ogni volta gli stessi gesti, potessimo controllare e, in qualche modo prevedere, quello che ci accadrà in futuro.

https://gerardoneil.blogspot.com/2018/08/some-common-superstitions-intermediate.html

E’ da tutto ciò che nasce la scienza dell’incredibile ossia una scienza che, avvalendosi di concetti presi da varie discipline quali la biologia, le neuroscienze, la psicologia, la storia, la sociologia, l’antropologia, cerca di capire quali sono i possibili meccanismi che portano l’uomo a “credere’’. Se un tempo queste credenze aiutavano l’uomo a sopravvivere, ora alcune credenze e false convinzioni sono diventate pericolose e rischiano di diventare vere e proprie “fabbriche di illusioni’’.

Abbiamo trattato questo tema attraverso un webinar condotto da Massimo Polidoro, uno dei maggiori esperti in questo ambito e cofondatore del Cicap, ovvero il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze. Quest’ultimo, nato nel 1989 per volontà di Piero Angela, propone di indagare i cosiddetti fenomeni paranormali, insoliti, misteriosi e “inspiegabili”, cercando di diffondere la mentalità scientifica e lo spirito critico.

https://www.ufopedia.it/CICAP.html

E’ proprio grazie a Piero Angela e alla sua rubrica “Quark” che Massimo Polidoro si appassiona al mondo del paranormale e alle tecniche che usa l’illusionista canadese James Randi, il quale applica un metodo scientifico nell’interpretazione di fenomeni misteriosi e insoliti.  Così, scrive una lettera a entrambi e i due lo invitano a trascorrere una giornata con loro. Piero Angela decide di offrire una borsa di studio a Massimo per trasferirsi negli Stati Uniti dove verrà  istruito personalmente da James Randi sul come studiare e analizzare gli eventi paranormali.

Dopo averci raccontato la sua storia, in seguito, Massimo Polidoro ha fatto una riflessione su come la nostra attenzione sia limitata e su come per il nostro cervello sia impossibile ricordare molti dettagli. Siamo stati coinvolti in un esperimento: dovevamo contare i passaggi che facevano vari giocatori con una palla. Nell’intento di contare, solo in pochi si sono accorti che dietro di loro passava addirittura un gorilla: questo per farci capire che, quando siamo concentrati su qualcosa, spesso ci sfuggono dettagli importanti.

Una delle cose, inoltre, che più mi ha colpito durante il webinar è stata l’analisi del significato che diamo a certe situazioni, come ad esempio ciò che riusciamo a vedere nelle nuvole o la capacità che ci porta a riconoscere facce e volti nelle cose, mentre invece sono il semplice risultato del gioco di luci e ombre. Quindi molto spesso non vediamo le cose in modo oggettivo e razionale. Ci facciamo influenzare da “pensieri veloci”, istintivi, invece di riflettere e ragionare con calma per mezzo dei “pensieri lenti”.

Pertanto, sviluppare il pensiero critico, la razionalità e allargare le nostre conoscenze scientifiche sono il mezzo attraverso il quale possiamo comprendere meglio il mondo che ci circonda. In tal modo, possiamo non lasciarci influenzare e condizionare da false credenze e notizie non veritiere.

Di fronte a quello che non conosciamo, quindi, come dice Massimo Polidoro, è bene avere la mente aperta, ma non così tanto da permettere al nostro cervello di essere ingannato.

“Siete la parola sul mondo che non è mai stata detta e che mai verrà ripetuta”

di Chiara Bottino, Giovanni Porceddu e Linda Simonotto 2B

Lo scrittore Alessandro D’Avenia incontra alcune classi delle scuole di Genova al Teatro Ivo Chiesa in un evento organizzato dalla Feltrinelli.

“Dovrei parlarvi del libro, ma non lo faccio. Ciò che è scritto è fatto per non essere detto”.

Alessandro D’Avenia pronuncia queste parole poco dopo l’inizio dell’incontro del 30 Maggio al Teatro della Corte di Genova, rendendosi conto della piega che esso ha preso. Ormai però ciò che è fatto è fatto. L’atmosfera sta iniziando a prendere forma e identità, ed è giusto cavalcare quell’onda che sta venendo verso di noi. Quest’onda ha travolto il giovane pubblico di liceali presente in sala trasmettendo la visione dello scrittore sulla vita di ogni essere umano.

Il sottotitolo dello spettacolo recita: “L’Odissea e l’arte di essere mortali”.

Il termine “odissea” si riferisce al percorso della vita di ognuno di noi, D’Avenia infatti nel libro affianca il suo passato al presente eterno del poema omerico.

Il suo intervento è stato uno stimolo per orientarci a vedere la nostra vita da altre prospettive, con altri metri di pensiero e di giudizio. Per saper apprezzare la nostra essenza e la sua unicità. L’arte di sapere morire è dunque l’arte di saper nascere tutti i giorni, di saper crescere e diventare maturi, cioè di trovare il giusto equilibrio “tra essere acerbi ed essere marci”.

Indelebile è stata, tra le riflessioni che ci ha proposto D’Avenia, quella  relativa al nostro futuro. Come afferma anche nel libro, il destino di ognuno è già scritto e sta all’individuo decidere se portarlo a compimento o meno. La luce che illuminerà la stanza del nostro destino deve soltanto essere sollecitata da un evento che abbatta gli ostacoli della vita e della società, le quali limitano l’uomo nell’espressione di sé stesso.

L’evento che ha rotto i freni che lo tenevano inchiodato alla decisione più comoda e conveniente di entrare a lavorare in futuro nello studio dentistico del padre, è avvenuto in quarta superiore; quando il suo professore di italiano gli ha prestato per due settimane il proprio libro preferito di poesie. D’Avenia afferma di  non aver saputo cogliere e apprezzare i messaggi di quelle poesie. Tuttavia, grazie a questa esperienza, D’Avenia riconosce la propria vocazione per l’insegnamento piuttosto che quella per gli studi odontoiatrici.

Attraverso questo incontro lo scrittore ha voluto ricordare che l’Odissea, spesso ritenuta solamente “moderna per la sua epoca”, è invece contemporanea a tutta la storia dell’esistenza umana.  La sua lettura ed interpretazione devono essere un tuffo nel passato, tenendo sempre presente lo scoglio da cui ci si è lanciati, nella spiaggia dell’umanità che, come il poema omerico, è senza tempo, insieme ai rispettivi sentimenti, emozioni e relazioni.

Il nostro migliore amico a quattro zampe … robotiche.

di Alessandro Pastore, Giovanni Agosti, Tommaso Agostini, classe 3B – Liceo classico A. D’Oria

Spot, il cane robot che il 21 maggio ha camminato e saltellato, per la gioia degli studenti, lungo i corridoi e nell’Aula di fisica del Liceo D’Oria è nero e giallo, pesa circa 30 chili, risponde ai comandi di un joystick e può vedere e riconoscere gli ostacoli sul suo cammino grazie a cinque telecamere e a un sistema di sensori.

La struttura meccanica di Spot è stata acquistata dalla statunitense Boston Dynamics, ma il software che lo fa muovere è stato creato dai ricercatori del laboratorio RICE dell’Università di Genova.

Antonio Sgorbissa, docente di robotica presso l’ateneo genovese ha spiegato agli studenti che l’obiettivo è quello di rendere più intelligente possibile Spot affinché possa essere utilizzato in situazioni estreme come terremoti e incendi. Attraverso il cane robot e le sue telecamere è possibile vedere cosa sta accadendo per poi impiegare successivamente le forze umane, con minore rischio.

Il cane robot  – ha spiegato Zoe Betta, dottoranda in Robotica e addestratrice ufficiale di Spot – è in grado di captare i rumori emessi da eventuali persone sopravvissute, di interagire con loro e comprendere la loro condizione. Inoltre è in grado di percepire eventuali crepe nei muri danneggiati. Spot ovviamente non sostituisce i cani normali o i soccorritori della Protezione civile, ma li affianca affinché le operazioni di salvataggio siano più veloci e efficaci.

E lo fa tanto bene che ha già vinto un premio, trionfando nella gara di cani robot svoltasi all’European Robotic Forum, svoltosi a Rimini lo scorso 15 marzo: si è dimostrato il più agile e veloce nel superare ostacoli lungo un percorso dato.

Spot potrà essere utilizzato anche per ispezionare le stive delle navi prima delle operazioni di scarico per rilevare eventuali situazioni pericolose dopo le mareggiate che spesso compromettono la stabilità del carico.

Sgorbissa ci ha tenuto a precisare che la ricerca è continua e l’Università di Genova sta andando avanti ragionando su nuove possibilità di applicazione del cane robot.

Pepper, robot sociale

di Pietro Barosso, Martina Cao e Serena Ferrari, classe 3B

Pensare che potrebbe essere un robot ad accoglierci alla partenza per un viaggio, a conversare con un malato in ospedale a o a far compagnia a nostro nonno in una casa di riposo, suscita reazioni contrastanti.

C’è chi reputa innaturale conversare con una macchina e chi invece ritiene che sia giusto utilizzare tutte le possibilità a nostra disposizione per vivere meglio: in molti ambiti del sociale gli uomini vengono talora sostituiti da robot in grado di comunicare, interagire e confrontarsi con le persone.

Lo ha spiegato il 21 maggio scorso agli studenti del Liceo D’Oria Antonio Sgorbissa, docente di Robotica all’Università di Genova.

Un esempio di come la tecnologia possa aiutarci anche in quelle funzioni che immaginiamo tipiche di un essere umano è proprio Pepper, un robot culturalmente intelligente. Una definizione insolita per  un robot, eppure è proprio così che è stato descritto Pepper, il robot umanoide utilizzato nell’ambito del progetto RAISE (Robotics and AI for Socio. Economic Empowerment)  per accogliere alla Stazione Marittima di Genova  i visitatori delle navi da crociera. Pepper usa la funzionalità per il dialogo tra robot e persone che il laboratorio RICE dell’Università di Genova, guidato dal Prof. Antonio Sgorbissa ha sviluppato nell’ambito di ricerche precedenti, con il progetto Caresses.

Il progetto CARESSES

Finanziato dalla Commissione Europea, dal Ministero dell’Interno e delle Comunicazioni del Giappone, Caresses nasce nel 2017: è un progetto multidisciplinare il cui obiettivo è quello di ideare il primo robot in grado di fornire assistenza “culturale” a chi ne necessita, in particolare agli anziani e alle persone inferme.

Ogni azione del robot viene eseguita ponendo attenzione alle abitudini, agli usi culturali, e alle preferenze individuali della persona.

Pepper: un robot culturalmente flessibile

Pepper non è in grado di sostituire fisicamente la figura professionale di un infermiere, tuttavia è perfettamente capace di sostenere una conversazione di ogni genere e tipo. Ma come può riuscirci? Il robot sociale è culturalmente flessibile: sa adattarsi alla cultura del proprio interlocutore e riesce a capirne gusti e preferenze, mai varcando la soglia dello stereotipo. La sua adattabilità è permessa da un algoritmo con un funzionamento del tutto simile a quello adottato da ChatGPT, un IA ( Intelligenza Artificiale ) in grado di fugare qualsiasi dubbio e quesito. Il robot è stato capace di integrarsi alla cultura del suo interlocutore, utilizzando l’infinita gamma di conoscenze che l’IA mette a disposizione.  

Pepper assiste i pazienti un casa di riposo

Pepper è stato inizialmente messo alla prova con alcuni anziani ospiti di case di riposo del Regno Unito e del Giappone. Contrariamente a come ci si aspetterebbe, l’iniziativa è stata accolta con l’interesse degli ospiti della struttura, che si sono dimostrati più che lieti di trascorrere un pomeriggio in compagnia con un inusuale confidente. Il robot è riuscito a fare breccia, tenendo loro compagnia e facendoli parlare dei loro argomenti preferiti, ma anche di tematiche delicate. Molti dei tester, infatti, ai quali è stato rivolto il progetto, hanno cercato di andare oltre alla natura della macchina: un signore, la cui moglie era morta qualche tempo prima, ha chiesto, commosso, al robot di potergliene parlare.

Pepper a scuola

Ora Pepper si sta misurando con i pazienti dell’Ospedale Santa Corona di Pietra Ligure, ma da novembre a febbraio è passato ad essere utilizzato in un contesto completamente diverso: l’ambiente scolastico, dove ha avuto la possibilità di confrontarsi e di interagire con gruppi di quattro alunni contemporaneamente, presso la scuola secondaria di primo grado Parini Merello di Genova.

Il progetto prevedeva un’interazione fra il robot e, a turno, piccoli gruppi di studenti per circa un quarto d’ora. L’obiettivo era quello di farlo interagire nella discussione in qualità di mediatore, cercando di coinvolgere  e di far rispettare a ognuno il proprio turno. I risvolti sono stati interessanti: Pepper è riuscito a instaurare una simpatica e carismatica relazione con i ragazzi, integrandoli all’interno della chiacchierata. Chiosa così Antonio Sgorbissa:

«Non è scontato pensare che fra non molto i robot saranno in grado di toccare anche gli argomenti più profondi, raggiungendo un livello di “umanità” presente solo nelle più fantasiose science-fiction»

L’amore dei nostri animali domestici ci allunga la vita

di Francesco Ferrando, Benedetta Lorenzon e Benedetta Pittaluga, 3D
(articolo tratto da un lavoro di Educazione civica realizzato da Serena Biscari, Francesco Ferrando, Margot Gristina, Benedetta Lorenzon, Sara Mercurio e Benedetta Pittaluga, 3D)
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È desiderio comune quello di vivere a lungo, ma è anche brama di tutti vivere l’anzianità in salute e felicità. Tale obiettivo si può realizzare solamente se si conduce uno stile di vita sano fin dalla tenera età. La longevità, infatti, non è determinata solamente da fattori genetici, ma, soprattutto, dalle scelte che compiamo quotidianamente a favore (o a sfavore) della nostra salute.
Quest’ultima, a differenza di quanto si possa pensare, non dipende esclusivamente dall’alimentazione e dall’attività fisica. Ci sono, infatti, altre componenti che influenzano il nostro benessere, non solo inteso dal punto di vista fisico, ma anche psicologico.

da Il Fatto Quotidiano

Il benessere di ogni persona è molto influenzato dall’ambiente in cui vive. È provato dalla psicologia ambientale che per l’essere umano sia di fondamentale importanza vivere in un contesto privo di eccessivi stimoli che portano ad accumulare una quantità di stress che può diventare insostenibile. Risulta dunque congeniale un ambiente naturale in cui tutti possono beneficiare di aria pulita, luce solare e silenzio. In tale ambiente l’uomo è anche maggiormente portato a condurre attività fisica e la maggiore esposizione a batteri e virus determina un perfezionamento del sistema immunitario. È più probabile, dunque, per un individuo che vive in zone rurali avere una vita più longeva rispetto a chi che vive in città.

Un altro fattore che influenza la salute, e dunque la longevità, sono le relazioni sociali. Come dimostra lo studio del McKinsey institute, la socialità concede un invecchiamento più soddisfacente. Rapportarsi con gli altri, infatti, previene il deterioramento del cervello: la solitudine può aumentare il rischio di contrarre l’Alzheimer.
Molteplici sono i benefici di una vita ricca di legami, tra i più rilevanti ricordiamo:
Atteggiamento positivo: le relazioni con altre persone possono favorire un senso di appartenenza. Una rete sociale solida, infatti, aiuta a sentirsi connessi con gli altri.
Miglioramento abilità cognitive: l’attività sociale mantiene attiva la mente attraverso conversazioni, giochi o altre attività sociali, esercitando la mente in modo efficace.

Tra i fattori che determinano la longevità correlati al mondo esterno, tuttavia, spesso ci si dimentica dell’importanza rivestita dal legame che si può instaurare tra un uomo e il suo animale domestico.

da La Stampa

I benefici di tale legame sono principalmente:
La riduzione dello stress e dell’ansia
studi scientifici hanno dimostrato che passare del tempo con un animale domestico può abbassare i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, e aumentare la produzione di endorfine, noti come “gli ormoni della felicità”. Gli animali domestici possono, infatti, fungere da distrazione positiva dalle preoccupazioni e dallo stress della vita quotidiana.
La lotta alla solitudine
La solitudine può avere un impatto significativo sulla salute mentale. Gli animali domestici, tuttavia, essendo sempre presenti e desiderosi di interagire con i loro proprietari, possono combatterla efficacemente.
Il miglioramento dell’autostima
Gli animali domestici forniscono un amore incondizionato e questo può influenzare positivamente l’autostima. Sentirsi amati e apprezzati da un animale può aiutare le persone a sviluppare una maggiore fiducia in se stesse.
Composizione di una routine
Molti animali domestici richiedono cure regolari, come il cibo, l’acqua e l’esercizio fisico. Ciò fornisce una struttura quotidiana e un senso di responsabilità che può contribuire a migliorare il benessere generale. Per molte persone, inoltre, prendersi cura di un animale domestico offre un senso di scopo.
Aumento dell’esercizio fisico
Tutti gli animali domestici, ma in particolare i cani, richiedono attività fisica regolare, come passeggiate e giochi all’aperto. Questo incoraggia i proprietari a rimanere attivi, il che ha numerosi benefici per la salute mentale. L’esercizio fisico, infatti, rilascia endorfine che possono migliorare l’umore e ridurre lo stress. Fare attività fisica con loro, inoltre, aiuta l’apparato cardio-circolatorio, riduce colesterolo e glicemia ed aiuta ad evitare picchi di pressione alta.
Riduzione della pressione sanguigna e frequenza cardiaca
Le interazioni positive con gli animali domestici possono portare a una riduzione della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca. Questo ha un effetto calmante sul sistema nervoso e può contribuire a prevenire problemi cardiaci correlati allo stress.
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Visti tali benefici, risulta scontato il motivo per cui la pet therapy (una pratica terapeutica che si basa sull’interazione tra gli animali domestici e le persone) riveste una fondamentale importanza per il benessere di molti individui in molteplici contesti: ospedali, case di cura, scuole, strutture di riabilitazione e anche la propria abitazione.
Particolarmente rilevanti in relazione alla longevità sono gli studi condotti riguardo ai benefici che un soggetto affetto da Alzheimer può trarre dalla relazione con un animale domestico. La presenza di animali, infatti, si riflette positivamente su alcuni dei loro parametri comportamentali e cognitivi: è molto facile instaurare un rapporto con un cane o un gatto poiché la comunicazione con l’animale si basa su gesti e azioni che non hanno a che fare con il linguaggio o la memoria, competenze spesso compromesse dalla malattia. Inoltre, la relazione positiva che si instaura durante la pet therapy riapre il flusso dei ricordi rievocando esperienze passate, vissute con animali o meno, ma comunque serene dal momento che riemergono in momenti piacevoli e colmi di gratificazione e amore. La pet therapy viene, dunque, considerata una co-terapia. Non è, infatti, una soluzione definitiva, ma sicuramente la relazione con l’animale può favorire stimolazione sensoriale, motoria, cognitiva ed agire sulla motivazione e il buon umore.
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Più in generale, da un recente studio pubblicato sul “Journal of American Geriatric Society” risulta addirittura che gli anziani possessori di animali da compagnia presentano un maggior benessere sotto il profilo psicologico e una maggior capacità di svolgere le attività della vita quotidiana, il tutto rispetto ai coetanei che non posseggono animali. Questo testimonia il fatto che gli animali domestici, oltre ad alleggerire la nostra giornata con la loro dolcezza, contribuiscono attivamente al miglioramento della nostra salute.

L’altra faccia della Casa dello Studente. Visita ai sotterranei e incontro con il partigiano “Giotto”

di Benedetta Lorenzon e di Benedetta Pittaluga, 3D

Il 16 aprile 2024, in occasione della 79esima giornata della Liberazione, il 25 aprile, tre classi del Liceo Classico Andrea D’Oria sono andate in visita alla Casa dello Studente. Dietro un edificio apparentemente normale in cui gli studenti universitari fuori sede trovano alloggio, infatti, si cela una storia terribile, ma realmente accaduta e che, per questo, bisogna conoscere. Le atrocità della Seconda Guerra Mondiale che sembrano tanto lontane da noi si sono, infatti, verificate in un luogo davanti a cui tutti i genovesi, almeno una volta nella vita, sono passati.

La Casa dello Studente divenne operativa nel 1935 con le stesse finalità che ha oggigiorno. Gestita dal Partito Nazionale Fascista, la Casa era un luogo che Benito Mussolini utilizzava per portare avanti la propria propaganda. Lì studiavano ragazzi borghesi, provenienti da famiglie molto benestanti, in una sorta di “paradiso”. La Casa era, infatti, dotata di camere spaziose e confortevoli, di giochi, come il biliardo, in cui i ragazzi potevano cimentarsi. Consisteva, di fatto, in un luogo in cui i giovani potevano studiare, socializzare e divertirsi: era un’ottima prigione d’oro in cui rinchiudere i ragazzi e impedire loro di capire ciò che il regime realmente faceva.

La storia della Casa ebbe una svolta durante gli anni finali della guerra in cui divenne sede della Gestapo e un luogo di tortura di prigionieri politici, partigiani ed antifascisti.

Il 23 aprile 1945, con l’approssimarsi della Liberazione, i tedeschi abbandonarono l’edificio bruciando tutta la documentazione che attestava le torture tenutesi in quel luogo.

Nei mesi successivi, il Comune di Genova decise di mettere la Casa dello Studente a disposizione delle famiglie che, a causa dei bombardamenti, avevano perso la casa. L’amministrazione comunale, però, si scontrò con quella universitaria, che voleva che la Casa tornasse ad avere la sua originaria funzione. Alla fine, nel 1946, la Casa fu restituita all’università. Le celle e le cantine, dove erano avvenute le torture, tuttavia, furono murate insieme al rifugio antiaereo. In questo momento storico, infatti, era necessario portare avanti un ben preciso messaggio propagandistico: non era stata l’Italia la causa della guerra, ma solamente la Germania nazista. In un momento di passaggio quale quello del dopoguerra era, infatti, fondamentale che nei cittadini italiani sorgesse un sentimento patriottico.

La situazione, tuttavia, cambiò con le proteste del 1968: gli studenti iniziarono a sentire l’esigenza di rievocare ciò che realmente era successo poco più di due decenni prima. Nel 1972, durante un’occupazione della Casa dello Studente da parte di studenti, un ex partigiano di nome Livio indicò uno degli ingressi alle celle della tortura. Dopo varie notti di lavoro, i compagni di Lotta Comunista (la Casa era diventata nel ’68 sede del gruppo extraparlamentare) riuscirono a praticare un foro nel muro con cui erano stati chiusi i luoghi delle torture.

Questi locali furono adibiti a Museo della Resistenza e gli studenti lo dedicarono a Rudolf Seiffert, un tedesco che si oppose ad Adolf Hitler e che, per questo, venne giustiziato. Avendo egli, tuttavia, una gamba di legno, riuscì a nascondere in questa una lettera con cui rivolgeva l’ultimo saluto alla famiglia. Gli studenti non dedicarono, dunque, la Casa a un italiano, come forse risulterebbe spontaneo pensare dal momento che la Casa si trova nel nostro Paese, ma proprio a questo operaio tedesco. Infatti non è vero che tutti i tedeschi fossero allineati con il regime nazista: questa idea è il frutto di una strumentalizzazione della politica italiana, per sminuire le reali responsabilità storiche del fascismo rispetto alla sua controparte tedesca. Gli studenti, dunque, andando contro la propaganda, dichiararono con questo atto la necessità di ricordare ciò che era successo, tanto più che era accaduto anche a causa di italiani, genovesi, nostri concittadini.

La visita presso la Casa da parte degli studenti del Liceo Classico Andrea d’Oria prosegue con un incontro con un ex partigiano: Giordano Bruschi, noto come “Giotto” durante la guerra.

Innanzitutto, Giordano Bruschi ha delineato il contesto storico nel quale si era affermato il fascismo e ci ha spiegato come veniva percepito questo governo all’epoca: “Il fascismo inizialmente sembrava un’epoca trionfale per l’Italia, con un grande capo, l’uomo solo al comando. Mussolini, però, ha portato l’Italia nel baratro, anno dopo anno; ha dichiarato guerra a dieci paesi. Mussolini non si fermava più, perché pensava che più guerre faceva e più sarebbe stato apprezzato. Questo in realtà è stato il fascismo, la guerra, e poi ne abbiamo patito le conseguenze. La prima di tutte queste conseguenze è stato un cartellino, la tessera annonaria: non si era più liberi di comprare nei negozi, ma bisognava avere questo tagliandino.  Poi vennero anche ridotte le razioni, eravamo affamati. E’ la nostra storia, della fame e della guerra.”

“All’inizio invadevamo i paesi, abbiamo fatto delle cose orribili. Nella storia dell’umanità si cerca di creare sempre la sensazione che noi siamo le vittime, che gli avversari sono cattivi e che ci fanno del male, ma noi abbiamo usato per primi i gas asfissianti in Etiopia. Noi ragazzini di allora come voi andavamo per le strade a cantare che era bello che ci fosse la guerra, con la guerra si occupavano territori; una delle canzoncine che ci insegnavano faceva così:”Osteria dei tre boschetti, in Italia siamo stretti, allungheremo lo stivale fino all’Africa orientale”.

Giotto poi ci ha raccontato la storia di Antonio Gramsci e l’origine del termine partigiano. Inoltre, ci ha invitato a riflettere sull’indifferenza, un tema attualissimo ancora oggi: “Gramsci aveva fondato un giornale di giovani socialisti: “Città futura”. Questo giornale rappresentava il desiderio di quello che poteva essere l’avvenire. L’undici febbraio del 1917 Gramsci fu il primo ad utilizzare una parola che oggi è diventata famosa: partigiano. Gramsci diceva: “Sono partigiano come uomo di parte”. Contemporaneamente, aveva scritto una cosa fondamentale, che dovrebbe essere di insegnamento per ognuno di voi. Aveva scritto “Odio gli indifferenti”. Gli indifferenti sono quelli che non vogliono partecipare, che non vogliono interessarsi delle cose pubbliche, dell’uguaglianza e della giustizia. Il fascismo condannò Gramsci a vent’anni di reclusione. Questo è stato il fascismo, chi non era d’accordo con il partito fascista andava in carcere. In carcere Gramsci fu isolato. Del processo di Gramsci è rimasta famosa la frase: ”Bisogna impedire al cervello di Gramsci di funzionare per vent’anni”. Una frase che dovremmo tutti ricordare, pensate a come era la magistratura allora.”

Giotto e il Circolo Sertoli hanno inventato il “Calendario del popolo antifascista-la resistenza partigiana giorno per giorno”, nel quale, ogni giorno dell’anno, si ricordano personalità che hanno lottato contro il regime fascista: “Abbiamo pensato che fosse importante ricordare anche chi ha fatto del bene, chi ha lottato per la libertà e abbiamo inventato questo calendario.  Qui c’è la storia popolare, che riguarda genovesi, italiani, sacerdoti, operai, contadini. E’ importante ricordare da dove veniamo. Ogni giorno c’è il ricordo di quelli che sono stati i nostri combattenti.”

Giotto inoltre ci ha spiegato come un grande autore della letteratura italiana, Italo Calvino, ha trattato il tema della resistenza nella poesia “Oltre il Ponte”: “Italo Calvino ha dedicato una poesia alla figlia Giovanna, la poesia “Oltre il ponte”. Pensate a come Calvino descrive la realtà partigiana, con l’amore che un papà ha per la propria figlia. In due versi c’è l’essenza della resistenza: “Siam pronti, chi non vuole chinare la testa con noi prenda la strada dei monti.”. “

Ci fu la resistenza anche in altri Paesi, in Francia, in Iugoslavia, in Grecia e anche nella stessa Germania, ma secondo Giordano la resistenza italiana fu di una forza maggiore a quella delle altre resistenze: “La resistenza d’Italia è una resistenza che dà lezione alle altre resistenze. L’ampiezza della resistenza italiana non si è vista da nessuna parte. La storia della resistenza è una storia popolare.”

Giordano, inoltre, ci ha raccontato la storia di alcune personalità ricordate nel calendario, tra cui quella di Don Angelo Bobbio e quella di Ottavio Moro e della figlia Stefanina Moro: “Nel nostro calendario, la giornata del 3 gennaio è dedicata a un sacerdote, Don Angelo Bobbio, che venne condannato a morte dai fascisti perché diceva la Messa ai partigiani. Il comandante del plotone dell’esecuzione chiese a Don Angelo Bobbio se voleva pregare e Don Angelo Bobbio disse: ”Non ho bisogno di pregare per me, ma pregherò per voi che mi uccidete.”

“Il partigiano del giorno di oggi (16 aprile) è Ottavio Moro, camallo di Genova. Ottavio Moro aveva una figlia di nome Stefanina e l’aveva educata al senso della libertà. Ottavio Moro morì in battaglia. Stefanina, a sedici anni, decise di partecipare alla lotta e decise di fare quello che fecero tante altre donne partigiane: fece la staffetta. L’arma fondamentale di Stefanina Moro era la bicicletta: pedalava tra un luogo e l’altro della città per comunicare i messaggi del comitato di liberazione. Tante staffette morirono perché sapevano molte informazioni riguardo alla resistenza. Stefanina Moro venne arrestata e i fascisti cercarono di farla parlare; fu orribilmente torturata ma non parlò. Sono tutti episodi veri quelli che caratterizzano queste storie, alcuni accaduti qui.”

Questo incontro è stato molto interessante e coinvolgente e inoltre ci ha invitato a riflettere molto su un periodo storico cronologicamente non molto lontano da noi caratterizzato da grandi atrocità. Inoltre, abbiamo potuto capire quanto temi attuali allora, come l’indifferenza, il coraggio, la presa di posizione,  possano esserlo ancora oggi, perché i resistenti ci furono allora come possono esserci anche oggi e in futuro: “Finché ci sarà un attimo di ingiustizia nel mondo dobbiamo fare in modo che qualcuno di noi lotti per la libertà.”

 

Fonte immagine in evidenza: genova24.it

 

 

 

La mafia teme la scuola più che la giustizia

di Aurora Borriello, Eleonora Capone, Alessia Grandicelli, 2B

Due incontri preziosi

“La mafia teme la scuola più che la giustizia e l’istruzione toglie l’erba sotto i piedi della cultura mafiosa”.

Ne era convinto Antonino Caponnetto, il noto magistrato italiano alla guida del Pool antimafia ideato da Rocco Chinnici: è necessario riflettere e lavorare nelle scuole sul concetto di legalità, cioè sulla consapevolezza che un comportamento corretto e rispettoso delle leggi è un valore. Anche e soprattutto quando tutto intorno a noi sembra negarlo.

Come ci spiegano le persone che hanno avuto a che fare con la mafia, è fondamentale discutere della mafia e della sua iniquità. La vera arma per combattere questo genere di criminalità sono infatti la conoscenza e la denuncia dei fatti.

Quest’anno, sono stati due gli incontri che ci hanno permesso di comprenderlo molto bene: quello con Tiberio Bentivoglio, testimone di giustizia, ci ha raccontato la sua vicenda con la mafia e quello con Giovanni e Francesca Gabriele, genitori di una vittima innocente, che sono venuti a tener viva la memoria di loro figlio ucciso nel 2009, Domenico Gabriele.

Un percorso di letture … ad alta voce

Prima degli incontri abbiamo deciso di approfondire l’argomento leggendo ad alta voce un libro curato da Don Ciotti, fondatore di Libera, “La classe dei banchi vuoti”.

Si tratta di una raccolta di storie che parla delle vittime innocenti della mafia. L’autore ha immaginato di rappresentare in un’aula nove bambini , vittime innocenti di mafia: i banchi dell’aula alla fine della lettura rimanevano vuoti e  nessuno più rispondeva all’appello,  a rappresentare simbolicamente la fine delle brevi vite di ciascun bambino. 

Per arricchire le nostre conoscenze riguardo al tema, in classe abbiamo letto, suddivisi in gruppi,  quattro libri: “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia un romanzo giallo in cui l’autore indaga le caratteristiche della mafia, l’omertà dei siciliani ed il ruolo della politica, spesso complice della criminalità organizzata. Sciascia attraverso questo libro si schiera contro i politici che, spesso, sono complici della mafia, ma anche contro l’omertà dei siciliani che attraverso il silenzio finiscono per dare sostegno alla mafia.

Per arricchire le nostre conoscenze riguardo al tema, in classe abbiamo letto, suddivisi in gruppi,  quattro libri: “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia un romanzo giallo in cui l’autore indaga le caratteristiche della mafia, l’omertà dei siciliani ed il ruolo della politica, spesso complice della criminalità organizzata. Sciascia attraverso questo libro si schiera contro i politici che, spesso, sono complici della mafia, ma anche contro l’omertà dei siciliani che attraverso il silenzio finiscono per dare sostegno alla mafia.

“La mafia spiegata ai ragazzi”  di A. Nicaso  si apre invece con un’ esperienza personale dell’autore, la conoscenza di un bambino vittima della mafia, a cui era stato ucciso il padre che si era rifiutato di comprare il ferro dai mafiosi della zona.

Nicaso subito spiega lo scopo della mafia: il guadagno. Non solo di soldi, ma anche di potere, di prestigio, raggiungibile con qualsiasi mezzo, violenza inclusa. 

“Non chiamateli eroi” di N. Gratteri e A. Nicaso, racconta delle vittime innocenti di mafia: ci ha particolarmente colpito la figura di Santino Di Matteo.

Il nostro progetto

Ogni gruppo ha poi preparato una lezione in cui leggere brani significativi dei libri letti, spiegarne il contenuto e coinvolgere gli ascoltatori sollecitandone la partecipazione, secondo le indicazioni che ci sono state fornite nell’incontro di lettura ad alta voce con Panagiota Dimopolou, coordinatrice del circolo  della LaAV di Genova.

Infine abbiamo esposto il lavoro che ha riscosso più successo a una classe del nostro liceo. Il libro prescelto è stato “Io dentro gli spari” che narra la vicenda di Santino, un ragazzino siciliano di circa nove anni che assiste all’omicidio del padre e del nonno da parte della mafia con cui erano entrati in contatto viste le difficoltà economiche. Proseguendo con la storia Santino sarà costretto a trasferirsi e a cambiare identità.

Grazie alle numerose testimonianze che abbiamo ricevuto in questi mesi abbiamo compreso il significato della giustizia e del valore della vita. Un concreto esempio sono stati i genitori di Dodó che, commossi e addolorati, hanno trasmesso un messaggio significativo a noi ragazzi guardandoci con la forte speranza di poter cambiare il futuro in meglio.

“Non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano’’

di Sara Mercurio e Ginevra Venturi, 3D

Il 12 Febbraio, il Liceo D’Oria di Genova ha celebrato il Darwin Day, già ospitato l’anno precedente, per ricordare la nascita dello scienziato e biologo Charles Darwin, che formulò la teoria dell’evoluzione della specie. I partecipanti, studenti e non solo, hanno avuto l’opportunità di esplorare la teoria darwiniana attraverso gli interventi di Domenico Saguato, del centro di documentazione ‘’Logos’’, docente e divulgatore scientifico, e di Silvano Fuso, del gruppo CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), docente e ricercatore scientifico: nello specifico, i due relatori hanno affrontato i temi dell’irrazionalità dell’uomo e del concetto di violenza e guerra nell’evoluzione della specie umana. Presente, per il corpo insegnanti del Liceo D’Oria, la professoressa Martina Savio, che ha  introdotto la conferenza.

I relatori.

Il primo a intervenire è stato Saguato, che ha iniziato parlando  dell’evoluzione dell’essere umano, analizzando la sua diversità rispetto agli scimpanzé: con il 99% di patrimonio genetico condiviso, ciò che ci rende umani va oltre la similitudine genetica. Ha fatto inoltre riferimento alla storia dell’uomo preistorico, partendo dall’analisi dell’uomo di Neanderthal, estinto 40,000 anni fa. Diverse prove suggeriscono rapporti intimi tra Neanderthal e l’essere umano, confermate dal DNA condiviso, ma non del tutto identico. Una delle sostanziali differenze tra lo scimpanzé, da cui ci siamo evoluti, e l’essere umano  è l’approccio alla violenza: la capacità di gestire gli istinti violenti è sicuramente uno dei principali fattori che ha permesso di delineare le differenze tra ominidi e animali. L’evoluzione ha permesso a noi esseri umani di essere l’unica specie al mondo in grado di contenerla grazie allo sviluppo della corteccia prefrontale. Il relatore ha poi parlato della diversità che ogni essere umano presenta rispetto ai suoi simili e di come, anche in base al paese in cui si vive, si può distinguere un maggiore sforzo nel cercare di rafforzare le sinapsi presenti nella corteccia. Un esempio lampante è la differenza di tasso annuo di omicidi in due paesi diversi, che hanno valori, culture e leggi diverse l’uno dall’altro. In Giappone la percentuale di omicidi è dello 0,2% all’anno, mentre negli Stati Uniti raggiunge addirittura il 17,3% all’anno.

Il dibattito sulla nostra evoluzione continua, ma la tesi predominante è che ci siamo auto-addomesticati; un passo fondamentale per la nostra complessa organizzazione sociale. Tuttavia Saguato ha rilevato come prima della rivoluzione neolitica (quindi prima della scoperta dell’agricoltura) non ci siano state guerre, citando la teoria di Karl Marx secondo la quale tutte le guerre nascono dalla proprietà privata dei mezzi di produzione. La violenza umana può essere scaturita da diversi fattori: essendo un meccanismo biologico, da sentimenti come rabbia o paura (si tratta del caso della violenza reattiva). La violenza però non nasce sempre come offensiva; in determinati casi può essere usata come meccanismo di difesa, come metodo di sopravvivenza in situazioni in cui agire violentemente è l’unico modo per continuare a vivere. Al contrario, la violenza perpetrata per conquista alla ricerca di ampliare o mantenere le proprietà è puramente offensiva e ha come scopo quello di ferire la vittima. A questo proposito, durante la conferenza Saguato ha fatto riferimento alle guerre nel mondo antico, parlando di come sia in Grecia che nell’impero Romano uno degli scopi principali delle guerre fosse la conquista degli schiavi (un aspetto sottolineato in particolare dall’eminente storico Luciano Canfora in una recente monografia). Possiamo quindi dire che la guerra è l’espressione più cinica e distruttiva della violenza. Tuttavia, quest’ultima non sempre viene utilizzata al fine di danneggiare il prossimo.

I ragazzi durante la conferenza.

Continua Silvano Fuso, che focalizza l’attenzione sul contrasto alle pseudoscienze e alle “fake news” scientifiche. Sottolinea che la diffusione rapida delle false notizie è facilitata dalle caratteristiche del nostro cervello, spesso orientato emotivamente nelle decisioni. Noi crediamo che le nostre decisioni siano sempre il risultato di un ragionamento, ma in realtà, spesso, le cose stanno diversamente: citando il neuroscienziato Antonio Damasio, Fuso evidenzia che le nostre scelte, quando non sono consapevolmente orientate al senso critico, sono compiute per la maggior parte su base emotiva. Ciò porta a prendere per vere anche informazioni assolutamente false, le quali ci portano a rifiutare le teorie la cui validità è dimostrata, cosa che successe anche con le teorie di Darwin.

Silvano Fuso collega queste peculiarità cognitive alla resistenza a teorie come quella darwiniana, insistendo sul fatto che la razionalità richiede un processo graduale e faticoso per adattarsi al mondo complesso in cui viviamo oggi; paradossalmente, tuttavia, ciò nasce anche da una caratteristica evolutiva: nel cervello umano permangono meccanismi volti ad assicurare la sopravvivenza della specie attraverso il ricorso a decisioni rapide e non mediate dal ragionamento, utili per sfuggire a pericoli immediati (si tratta delle cosiddette euristiche). Egli continua il suo discorso facendo l’esempio delle illusioni ottiche, secondo cui a noi appare un’immagine diversa da quella reale, ed illustrando diverse altre euristiche e bias cognitivi, per esempio l’attribuzione di un fine a oggetti inanimati e dare per buono il primo dato offerto. Noi esseri umani siamo maggiormente predisposti a recepire le fake news, in quanto l’emotività e l’irrazionalità costituiscono un substrato nella nostra mente.

Dalla riflessione sulla nostra interpretazione storica a un’analisi dettagliata delle tracce del nostro passato, passando per i dati genetici e uno sguardo agli altri primati, così come alle forme più antiche di espressione e percezione della coscienza, i due ricercatori hanno commemorato il compleanno di Charles Darwin.