La storia di Souleymane

di Beatrice Marini, 1E 

Vi è mai capitato di soffermare la vostra attenzione sulle condizioni di vita dei giovani ragazzi, addetti alle consegne a domicilio, che sfrecciano per le strade della città con le loro borse sgargianti, a bordo di biciclette o motorini?

Recentemente gli alunni della classe 1E hanno avuto modo di riflettere su questi temi grazie alla visione del film “La storia di Souleymane”.

Il protagonista è un giovane ventiquattrenne originario della Guinea che lavora come rider a Parigi ed è in attesa di fare un colloquio per ottenere il diritto di asilo politico. Per lavorare come rider Souleymane “affitta” l’account da un immigrato regolare che ha la cittadinanza francese.

L’intera vicenda si concentra proprio nei due giorni precedenti al colloquio, durante i quali il giovane affronta mille peripezie.

Ciò che rende unico il film è la modalità con cui sono trattati i temi dell’immigrazione e dell’accoglienza.

  Il regista ha utilizzato tecniche molto efficaci per far capire agli spettatori le situazioni difficili nelle quali lavorano gli immigrati: non ha scelto attori professionisti, ma persone che hanno affrontato sulla loro pelle una situazione di precarietà. Inoltre, fa immedesimare gli spettatori nei panni di Souleymane, che lotta contro una società apparentemente accogliente, ma distaccata con chi non è suo cittadino.

 

Era proprio questo l’obiettivo di Lojkine: capovolgere il punto di vista, facendoci vivere la storia con gli occhi del protagonista e di tutti gli immigrati. Purtroppo, essi svolgono lavori occasionali e temporanei (nel 2021 solo l’11% dei lavoratori a chiamata aveva un contratto di lavoro dipendente), sono mal pagati, non hanno ferie e assicurazioni e sono facilmente licenziabili.

Queste condizioni portano alcuni stranieri sottopagati o disoccupati a delinquere, generando un forte pregiudizio e diffidenza da parte dei cittadini.

Si innesca così un effetto domino: colui che ha una cultura e usanze differenti dalle nostre, tende ad essere escluso. Nel film emerge questo sentimento di paura nei confronti degli stranieri nell’episodio in cui Souleymane viene invitato ad uscire da un locale e attendere il pasto da consegnare all’esterno. Questo perché avrebbe potuto intimidire i clienti a causa del diverso colore della pelle.

Nella storia non mancano tuttavia momenti di gentilezza. Un episodio toccante è proprio quello del colloquio tra Souleymane e la funzionaria per l’ottenimento del permesso. È proprio qui che l’immigrato smette di recitare e torna se stesso confessando di non essere un perseguitato politico ma di trovarsi a Parigi per poter pagare le cure alla mamma malata.Il diritto di asilo politico è un diritto fondamentale, che offre protezione alle persone perseguitate nel loro Paese per motivi di razza, religione, opinioni politiche o semplicemente appartenenza ad un gruppo sociale. Una volta che la domanda viene accolta, viene rilasciato il permesso di lavorare e di accedere ai servizi sociali al richiedente.Nella realtà, come mostra anche il film, ottenerlo e vivere in una condizione prospera è tutt’altro che facile.

Il regista ci lascia con il fiato sospeso, perché non ci racconta se Souleymane riceverà il diritto d’asilo. Lojkine lascia così decidere il finale allo spettatore stesso, che dovrà fare la scelta in base alla propria coscienza. Il suo obiettivo è far riflettere il pubblico sul fatto che la legge può scontrarsi con i sogni degli immigrati e con la loro speranza di avere una vita migliore.

Monumento Fieschi: un’icona di storia e bellezza nel cuore di Genova

Di Carlotta Berni, Alice Moretti, Giovanni Porceddu, Francesco Repetto, Linda Simonotto, classe 3B

Il 29 novembre 2024 la classe 3B è stata accompagnata nel centro storico della città di Genova in visita al Museo Diocesano, uno spazio che un tempo fu la residenza dei canonici e dove ora vengono esposti gli oggetti appartenuti alla Diocesi della città. A questi si aggiunge il Monumento funebre di Luca Fieschi, storico membro della nobile famiglia genovese e cardinale di grande rilevanza per la storia e la cultura di Genova.

Uno spazio particolarmente interessante è stato quello dedicato alla Stanza dei mesi, stanza dove vivevano i canonici, ricoperta di affreschi che rappresentano il passaggio delle stagioni e le tradizioni popolari che lo accompagnano. Al suo interno è custodito un libro dei canti, un affascinante scritto religioso, decorato da un’immagine che rappresenta l’incontro tra due donne gravide, la Vergine Maria ed Elisabetta. Il contorno del capolettera è formato da un drago che dalle fauci fa uscire un elemento floreale invece del fuoco, ciò rappresenta il soffocamento del male e la nascita del bene. Successivamente abbiamo visitato la parte del museo dedicata al Monumento di Luca Fieschi.

 

Il monumento funebre è stato voluto dal cardinale stesso, che pochi giorni prima della sua morte convocò dei testamentari per esprimere le sue ultime volontà. Egli chiese che la sua salma fosse posta nella cattedrale di San Lorenzo, dietro l’altare, vicino alle ceneri di San Giovanni Battista, posizione che nessuno aveva mai ottenuto prima. Il monumento venne fatto costruire da scultori Pisani, commissionati da due dei sette eredi testamentari.

Originariamente si ergeva con un’altezza di circa 12m ed è composto alla base da quattro statue che rappresentano le quattro virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza temperanza. Sopra queste è presente un sarcofago raffigurante Gesù Cristo che mostra le sue piaghe agli apostoli, sul quale si poggia la statua della salma di Luca Fieschi, realizzata facendo il calco del viso del defunto. La salma viene sovrastata dalle statue di due angeli che sembrano aprire le tende di un sipario, in cima possiamo ancora vedere le statue della Madonna col Bambino, San Lorenzo e San Giovanni Battista, molto probabilmente erano presenti altre statue, ma purtroppo dopo la caduta della famiglia Fieschi il monumento ha subito diversi spostamenti e molti pezzi sono andati perduti.

Questa disposizione che si può ammirare all’interno del museo è frutto di un grande lavoro di restauro da parte degli studiosi, che si sono serviti delle poche fonti del Medioevo e inevitabilmente anche della loro creatività : basti pensare che per collocare il monumento nel luogo in cui si trova ora all’interno del museo Diocesano si è dovuto tagliare parte del pavimento del secondo piano, creando una balconata che permette di osservarlo da una posizione inedita.

Grazie alla rappresentazione teatrale di Pino Petruzzelli e di Valentina Messa a cui abbiamo successivamente assistito presso l’Auditorium Eugenio Montale, che alternava momenti narrativi e di ricostruzione storica a intermezzi musicali, abbiamo potuto ascoltare la storia della costruzione e del restauro del Monumento dedicato a Fieschi, rivendendone proiettate sullo sfondo le immagini anche nei suoi preziosi particolari.

Ennio Tomaselli: il magistrato scrittore

di Lisa Ferrari e Maria Roccella, 1B. 

Quest’anno l’autore dell’incipit per il progetto “Staffetta di scrittura” a cui ha partecipato la 1B del Liceo D’Oria non è solo un romanziere, ma anche un ex magistrato minorile: Ennio Tomaselli. 

Nato presso Firenze, si è trasferito con la famiglia a Torino, nel quartiere delle Vallette. Il magistrato abita tuttora nel capoluogo piemontese con la moglie Rosamaria. Si è laureato in giurisprudenza nel 1978 e ha superato il concorso d’ingresso in magistratura, per diventare giudice penale del tribunale di Torino dal 1978 al 1986. Ha partecipato anche ad alcuni processi in corte d’Assise, e nell’86 è diventato giudice del tribunale per i minorenni. Tomaselli, forse anche per aver lavorato come giudice minorile, si sente a suo agio in presenza dei ragazzi e ci tiene a valorizzare questa esperienza. Si è sempre impegnato ad incontrare i giovani e parlare con loro, anche se a distanza. Il 3 dicembre 2024 la classe 1B del liceo classico Andrea D’Oria di Genova ha avuto la possibilità di contattare lo scrittore tramite videoconferenza  meet, per porgli alcune domande.

Ha sempre voluto diventare un magistrato, oppure se n’è convinto strada facendo?

Ho deciso di diventare magistrato alle scuole superiori, in quinta liceo, perché fino ad allora ero molto indeciso su quale carriera intraprendere. Mio padre faceva parte del corpo di polizia e forse la mia scelta è stata indirizzata anche dall’ambiente in cui sono cresciuto. All’esame di maturità mi è stato chiesto da un membro esterno cosa volessi fare dopo l’università ed è stato allora che ho espresso per la prima volta questo mio desiderio.

Com’è stata per lei l’esperienza del liceo?

Ho frequentato il classico e a dire la verità, il primo anno ho avuto non pochi problemi…sono stato rimandato in latino, matematica, greco e italiano. Anche dopo aver studiato tutta l’estate mi hanno bocciato, ma grazie al sostegno dei miei genitori sono riuscito ad andare avanti e alla fine ho lasciato la scuola con il massimo dei voti. Dopotutto a volte nella vita ci sono momenti di difficoltà, ma si possono sempre superare con la fiducia in sé stessi e il supporto dei propri cari.

In quanto magistrato lei deve aver affrontato casi di ragazzi che avevano completamente perso la loro strada. Qual è stato il caso più importante e difficile che abbia mai incontrato? 

A dire la verità tutti i casi che ho affrontato sono importanti per me, anche quelli meno complessi. Ho sempre cercato di non essere superficiale mentre analizzavano i diversi problemi, perché al di là dell’apparente semplicità della situazione nulla si deve dare per scontato. Sia che stessi scrivendo la sentenza (ad esempio del caso “Erika e Omar”) sia che stessi esaminando una pronuncia sullo stato di adottabilità, non ho mai smesso di sentirmi responsabile del minore che mi stava davanti. Infatti sbagliare su una di queste pronunce avrebbe potuto portare a delle conseguenze psicologiche irreversibili per la persona in questione.

La carriera di magistrato sembrava esserle molto a cuore, quindi per quale motivo ha scelto di abbandonarla per diventare scrittore? 

La legalità è stata senza dubbio una parte importantissima della mia vita, ma ad un certo punto ho sentito il bisogno di abbandonarla. Ho optato per il pensionamento anticipato perché mi era parso di aver completato un certo percorso di lavoro e di vita e quindi di potermi permettere, essendo già nelle condizioni per accedere alla pensione, di sperimentare qualcosa di diverso e, magari, “diversamente utile”. Ormai passavo perfino le vacanze a scrivere sentenze! Non avevo più tempo da dedicare a me stesso e alle mie passioni: così ho deciso di lasciare la magistratura per esplorare nuove forme di linguaggio con cui esprimermi.

Facendo sedimentare i ricordi della mia carriera, ho scritto quattro romanzi e un saggio intitolato “Giustizia e ingiustizia minorile”. In pratica ho continuato a partecipare alla questione minorile, solo in un modo diverso e con maggiore tranquillità.

Anche la scrittura quindi è molto importante per lei: ma cosa significa per lei scrivere? 

Secondo me la scrittura nasce dall’emozione, da quello che si vuole comunicare. Per me è molto importante esprimere la mia opinione per quanto riguarda la legalità ed è proprio per questo che sono diventato autore. I miei libri rispecchiano la realtà della vita, sono inventati ma realistici: penso che non riuscirei mai a scrivere un romanzo fantasy o di fantascienza. In essi ho narrato la storia di qualcun altro ma parlando di me: ogni scrittore alla fine racconta di sé nelle sue opere.

I libri in cui forse mi sono immedesimato di più sono stati quelli che fanno parte di una piccola trilogia, formata da Messa alla prova, Un anno strano e Fronte Sud. Il protagonista di questi romanzi è il magistrato Malavoglia, che rispecchia molto la mia esperienza personale. Alla fine dell’ultimo libro Malavoglia esce di scena, lasciando alle persone più giovani il suo posto, proprio come ho fatto io.

                  FronteSud

Avrebbe un messaggio da lasciare a queste nuove generazioni, signor Tomaselli?

Certamente…per voi andare avanti forse sarà difficile, ma il futuro è nelle vostre mani.  Volevamo lasciarvi un mondo migliore ma non tutto è possibile. Però come dice un antico proverbio africano: “ognuno è responsabile degli occhi che guarda”. Per questo vi posso lasciare il mio più grande augurio di un domani luminoso.

Grazie mille per il pensiero. Comunque secondo noi lei e i suoi colleghi magistrati siete davvero riusciti a migliorare il nostro presente! Avete riscattato tante giovani vite, che altrimenti si sarebbero perse. Ci potrebbe raccontare come riusciva a gestire i colloqui con gli imputati? 

In un processo minorile è necessario usare un linguaggio informale per favorire la comunicazione. Di solito preferisco l’uso del “tu” e cerco di non mettere soggezione al ragazzo che ho davanti. Trovo che sia molto utile chiedere l’opinione del minore sulla situazione, per sapere cosa ne pensa. In un processo dove l’imputato è adulto il tono usato è naturalmente più formale.

Secondo lei quanto è cambiata la giustizia minorile negli ultimi anni?

È cambiata molto. Nel settore civile, ad esempio, con maggiori garanzie complessive e in particolare, per i ragazzi, grazie a norme che ne prevedono o esigono l’ascolto, da una certa età in poi, nelle procedure i cui effetti sono destinati a ricadere su di loro. Parlo anche di procedure di particolare rilievo, come quelle di adottabilità e di decadenza di uno o entrambi i genitori dalla responsabilità (un tempo potestà) genitoriale.

E invece cosa accade nei casi in cui è il minore a compiere il reato? 

Il minore ovviamente viene sottoposto ad un tribunale, viene stabilita una sentenza e se il ragazzo è colpevole di grave reato viene mandato in prigione. Tuttavia si tratta sempre di una condizione temporanea, anche se può durare per diversi anni non si tratta mai di una condanna a vita. In alcuni Stati si favorisce l’ergastolo anche per i minori ma la Corte Costituzionale ha stabilito che esso è incompatibile con la giustizia minorile. Questi ragazzi sono ancora giovani e nella maggior parte dei casi è possibile anche un buon reinserimento nella società.

Ma come si può prevenire il reato minorile secondo lei? 

Per prevenire reati gravi come omicidi serve fin da subito un’azione all’interno della famiglia, il primo nucleo sociale, poi della scuola e delle associazioni educative. Ad esempio il volontariato è un buon modo di imparare ad agire per il bene degli altri.

E per quanto riguarda la sua esperienza con i migranti? Come mai ha basato l’incipit proprio su questo tema? 

La migrazione è una realtà molto attuale e molto spesso sottovalutata. Le immigrazioni dagli altri Paesi sono ben più pericolose e segnano nell’anima le persone che le intraprendono. Ho preso ispirazione per il mio incipit, da un gruppo di volontari triestini che accolgono tutti i giorni i viaggiatori della rotta balcanica. Così, ecco, ho pensato di portare questo tema anche fra due ragazzi come potreste essere voi…che discutono in riva al mare.

Giusto, Gabriel e Alessandra, i due protagonisti dell’incipit, l’uno più indeciso e l’altra più determinata. Si aspettava che fosse Alessandra a diventare la protagonista dei capitoli successivi? 

Certamente, Alessandra fin dal principio sembra la più coraggiosa e decisa a cambiare le cose. Secondo lei la migrazione non è una questione per politici o adulti ma per tutti, anche loro che sono ragazzi secondo lei possono fare la differenza!

Grazie mille  per la sua disponibilità e la sua gentilezza nel rispondere alle nostre domande. Siamo sicuri che ricorderemo questo incontro con lei per molto tempo. 

Dalla pietra alla carta: la storia attraverso la codicologia

Il 23 gennaio 2025, la professoressa Sandra Macchiavello ha introdotto gli studenti del liceo classico Andrea D’Oria alla Codicologia, disciplina che studia il manoscritto, cioè qualsiasi documento scritto a mano, che può essere in forma di codice, libro o pergamena. La codicologia nasce da altre due discipline: la paleografia, che analizza l’evoluzione della scrittura, e la filologia, che si occupa di ricostruire testi originari tramite l’analisi critica.

Questa disciplina non studia il contenuto o il valore storico dei manoscritti, ma si concentra sul supporto utilizzato per scrivere, tracciando un percorso che va dal papiro, alla pergamena, alla carta, fino alla probabile transizione digitale. In passato, i primi supporti di scrittura includevano materiali come argilla, terracotta e metallo, poi si passò a supporti organici come pelle e seta. Il papiro, che divenne molto diffuso nel IV sec. a.C., venne sostituito dalla pergamena nel II sec. a.C. La pergamena, ottenuta dalla pelle di animali, venne inventata a Pergamo per via della concorrenza egiziana nel commercio di papiro. La carta, sviluppata in Cina nel II sec. a.C., arrivò in Europa grazie agli Arabi nel XI secolo.

Molti manoscritti giunti fino a noi risalgono al Medioevo, periodo in cui i monaci amanuensi copiavano a mano testi di grande valore culturale. Un esempio celebre è il Codex Gigas, noto anche come la “Bibbia del Diavolo”, conservato a Praga. Prima dell’invenzione della stampa, la circolazione dei testi era limitata, e la copia dei libri avveniva manualmente, anche negli ambienti universitari.

Dal Medioevo cominciarono a diffondersi anche i manoscritti miniati, decorati con pitture, inizialmente rosse, per abbellire le lettere iniziali. Oggi, i manoscritti sono considerati documenti preziosi non solo per il loro contenuto, ma anche per il processo storico e culturale che li ha resi parte del nostro patrimonio.

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Bridging the past and present: O’Connor’s film “Emily” and Bronte’s classic novel Wuthering Heights.

This essay is the final step of a project on  a comparative analysis of the film Emily by Frances O’Connor and Emily Bronte’s Wuthering Heights .To analyze Emily Brontë’s work and the film Emily in a comprehensive way, we divided the task into six groups, each focusing on a specific theme, exploring various aspects of her life (as presented in the film), the novel, and the historical and social context.

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Perché gentilezza e spiritualità fanno bene alla salute

di Irene Collufio, Margherita Fazioli e Vittoria Gandolfo, 4B

Il cervello produce pensieri come il fegato secerne bile.

Patrizia Balbinot e Gianni Testino del Dipartimento “Educazione ai corretti stili di vita” di Asl 3, durante il convegno “Spiritualità, gentilezza, consapevolezza: in cammino verso uno stile di vita etico e libero” tenutosi a Palazzo Ducale la mattina del 19 novembre, hanno smentito quest’affermazione di Pierre Cabanis, filosofo francese vissuto nella seconda metà del Settecento, un’affermazione nettamente materialistica, che riduce l’uomo a pura chimica.

La relatrice ha spiegato che l’uomo è dotato di un meccanismo sofisticato per elaborare i pensieri, ovvero il cervello, che costituisce quindi la componente chimica, tuttavia sono necessarie anche le idee, che costituiscono invece quella spirituale.

La chimica del cervello ha bisogno di essere indirizzata da un’energia intelligente che viene dall’esterno, che prende il nome di spirito, il quale vive oltre la fisicità e ciò significa che è trascendente. Lo spirito non si identifica con la mente, con cui però deve trovare un equilibrio al fine di garantire il benessere psicofisico.

Per fare fronte al dolore inspiegabile che talvolta si fa strada dentro di noi,  molti potrebbero pensare che l’unica soluzione sia la medicina che offre trattamenti farmacologici; invece un’alternativa da non sottovalutare, sperimentata anche a livello scientifico nell’approccio ad alcune sofferenze, come quelle causate da dipendenze, è quella di aprirsi, sperimentando e compiendo un percorso spirituale sull’interiorità, senza il quale la medicina si rivelerebbe utile solo in maniera limitata.

Il corpo umano è un tempio e come tale va curato e rispettato sempre.

Ippocrate, medico vissuto nell’Antica Grecia e considerato il padre della medicina scientifica, con questa affermazione attribuisce assoluta importanza al corpo, tuttavia insieme alla carne deve essere curato anche lo spirito, poiché senza equilibrio risulta impossibile raggiungere il benessere di entrambe le dimensioni.

Il dottor Testino ha poi esposto le conseguenze sul piano neurologico di alcuni comportamenti sociali, quali ad esempio gli atti di gentilezza che possono causare una riduzione dei telomeri, responsabili della formazione delle rughe. Gentilezza, empatia e altruismo hanno vari effetti positivi sull’organismo, come l’aumento della vita media, la riduzione di infiammazioni e di patologie cardiovascolari, il contenimento dell’aggressività e infine sono un argine contro le dipendenze.

La gentilezza e l’intelligenza spirituale sono caratteristiche innate, però le possiamo coltivare ed allenare, invece che abbatterle e reprimerle, attraverso l’educazione, che attiva i percorsi neurologici della gentilezza.

Sappiamo quindi che la gentilezza fa bene alla salute, ma soprattutto che ci rende persone eticamente libere.