Come si evolve il giornalismo: tra tradizione e innovazione

Incontro al D’Oria con Luigi Pastore

Di Alice Moscatelli, Angelica Addesi, Chiara Ravaschio, Malatesta Eleonora, Bianca Stefanelli, 2B e Agata Reggiardo, Emma Benvenuto, Chiara Flacco, 2D

Incontrare Luigi Pastore, capo redattore di Repubblica Genova, è stata una delle opportunità che abbiamo avuto quest’anno per capire  in che cosa consiste concretamente la professione del giornalista oggi.

In modo semplice e informale Pastore ha  risposto a quesiti e chiarito dubbi, illustrando anche i possibili percorsi che si possono intraprendere per arrivare ad esercitare la professione.

La formazione. Innanzitutto ci è stato spiegato come sia necessario seguire un percorso che combini pratica e teoria: la formazione teorica può avvenire attraverso scuole di giornalismo o corsi specializzati, dove si acquisiscono le competenze necessarie per svolgere al meglio il lavoro. Oltre a saper scrivere, è fondamentale avere anche competenze giuridiche o tecniche, per poter comprendere temi di vari ambiti. La competenza pratica viene acquisita principalmente in redazioni, dove i cronisti alle prime armi spesso si occupano di notizie di carattere locale e vengono seguiti da giornalisti  esperti. Corsi universitari come Scienze della Comunicazione e Scienze Politiche sono ottime scelte per chi desidera intraprendere la carriera di giornalista, ma anche una laurea in Lettere costituisce una solida base per questa professione.

Quotidiani on line. Con l’avvento della tecnologia molte persone hanno cominciato ad affidarsi al giornale online per rimanere sempre aggiornati. I lettori che utilizzano il sito gratuitamente possono consultare solo un numero limitato di articoli o una parte di essi, mentre gli abbonati hanno accesso completo ai contenuti, con la possibilità di effettuare ricerche e consultazioni più approfondite .Nella gestione di un quotidiano on line è importante conoscere il numero di persone che visualizza i vari articoli e  quanti sono gli  “utenti unici”, ovvero di chi si è collegato al sito più volte e questo avviene grazie all’utilizzo dell’applicazione Chart Beat, che fornisce informazioni sull’andamento di un giornale.

Un sito web di un giornale viene continuamente aggiornato con nuovi articoli, ma questa rapidità può aumentare il rischio di errori sia di battitura che di contenuto. Inoltre, una volta pubblicato, un articolo è difficile da rimuovere e può essere facilmente condiviso su altre piattaforme online. Un altro problema nella pubblicazione di un articolo online è quello del Copyright, che mette in difficoltà molte testate giornalistiche per la pubblicazione di foto e video.

La redazione. A questo punto dell’incontro ci siamo chiesti  come sia strutturata una redazione. Luigi Pastore ci ha illustrato come funziona quella di Repubblica Genova:  è composta da circa 12 persone, di cui 4 o 5 sono cronisti, che spesso si recano sui luoghi per raccogliere notizie e sono gli autori della maggior parte degli articoli; gli altri sono i deskisti, che dirigono, revisionano e confezionano il giornale. La sede di Repubblica,  la redazione centrale,  si trova a Roma, ed è composta da più di 300 persone. Con gli anni il mestiere del giornalista si è ampiamente evoluto e non comprende solo i giornalisti che compongono la redazione, ma racchiude anche figure come i freelancer.

Nonostante i cambiamenti che il giornalismo ha subito negli anni, l’importanza e lo scopo di questo lavoro sono rimasti gli stessi: informare in modo chiaro, preciso e responsabile. L’evoluzione tecnologica ha portato nuove opportunità, ma anche sfide, richiedendo ai giornalisti di adattarsi a un mondo sempre più veloce e interconnesso. La digitalizzazione ha trasformato il modo in cui le notizie vengono diffuse, ma il valore di un’informazione di qualità resta fondamentale.

Cassandra: tra mito e realtà

di Matias Di Giacomo, Matilde Pedroncini,  Emma Zini, 2 B

Poche ore prima di assistere allo spettacolo “Cassandra o dell’inganno” Elisabetta Pozzi, ideatrice e interprete dell’opera, ci ha accolti dietro le quinte del Teatro Duse. Incontrarla è stato un privilegio perchè ci ha consentito di comprendere le scelte drammaturgiche dell’autrice e di conoscere meglio le tappe fondamentali della sua formazione e della sua carriera.

Qui il video della nostra intervista.

Elisabetta Pozzi ha ideato questo spettacolo basandosi principalmente sulle tragedie di Eschilo ed Euripide, ed è riuscita a unire modernità e mitologia, coinvolgendo il pubblico in un percorso che  dall’affascinante e crudele storia di Cassandra arriva ai giorni nostri.

 

Signora Pozzi, lei ha portato in scena le figure femminili più grandi del teatro classico. Che cosa l’ha spinta a scrivere e interpretare questo spettacolo proprio su Cassandra?

Sì, è vero, ho portato in scena le grandi figure femminili del mito , soprattutto a Siracusa, che è un luogo speciale perchè riporta davvero a un momento unico: 5.000, 6.000 spettatori che , come quelli del V secolo a.C., si riuniscono nel teatro greco per assistere alla rappresentazione di  questi grandi testi, Medea, Fedra, Clitemnestra. Cassandra è la profetessa troiana mai creduta a causa della maledizione di Apollo. Quello che mi ha incuriosito di questo personaggio, che conoscevo molto bene perchè l’ho studiato a scuola e approfondito nel mio lavoro, era proprio questo punto: quante “Cassandre” in realtà ci sono state nel corso dei millenni? Quanti uomini e donne  hanno percepito che qualcosa stava succedendo, hanno cominciato a capire attraverso dei segni il fatto che qualcosa stava per finire, un ciclo, un periodo storico,  un impero , e hanno cercato di dirlo ma purtroppo non sono stati creduti? 

Secondo lei ci sono oggi delle “Cassandre”, persone inascoltate a cui invece bisognerebbe prestare attenzione?

“Sì, ce ne sono molte e proprio ad alcune di queste ho voluto fare riferimento; sono grandi pensatori come Jean Baudrillard, Marc Augè, che hanno proprio scritto del futuro,  Vance Packard che nell’opera “I persuasori occulti”  parlava della potenza che i mezzi di comunicazione avrebbero avuto sulle persone. Nel giro di pochi anni queste “predizioni” si sono avverate: vediamo la dipendenza totale che ormai tutti hanno dalla tecnologia. Da non dimenticare Pierpaolo Pasolini che nel 1960 scrive “Profezia“, un’opera sull’immigrazione, sul destino di uomini e donne che arrivano da Paesi lontani. La sua riflessione mi ha colpito molto e mi commuovo sempre quando sul palco recito un suo passaggio fondamentale: “scenderanno a milioni, sbarcheranno a Crotone o a Palmi, vestiti di stracci asiatici e camicie americane”.

Sappiamo che ha lavorato molte volte al Teatro Greco di Siracusa e che ha una grande attenzione per il dramma antico. Perchè ritiene importante continuare a portare in scena le tragedie classiche? Quali messaggi o emozioni possono ancora trasmettere a una società tanto diversa, più di duemila anni dopo?

“Le tragedie che ci sono arrivate, scritte in un’epoca e in una società tanto lontane, sono sempre attuali perchè riguardano aspetti, emozioni o sentimenti dell’essere umano di ogni tempo, universali. Per esempio ne “I Persiani” di Eschilo si parla della guerra e la grande intuizione del drammaturgo ateniese è stata quella di parlare ai Greci vincitori della follia della guerra attraverso la disperazione di un popolo da loro  sconfitto, per dire” la guerra riduce così”. Le tragedie ci fanno riflettere anche sull’ Ybris, la tracotanza,  la perdita del senso della misura, che evidentemente  stiamo vivendo anche noi oggi.

 

Esiste un personaggio che ha interpretato o uno spettacolo in cui ha recitato che è stato particolarmente significativo sia per la sua carriera che per la sua vita?

“Le prime esperienze sono state importantissime; risalgono a quando frequentavo ancora il liceo e ho iniziato a lavorare con un piccolo ruolo in un dramma di Pirandello ; avevo partecipato ad un provino senza dirlo ai miei e mi avevano preso, quindi i miei genitori si sono ritrovati  a dover firmare il mio primo contratto perchè non ero ancora maggiorenne. Mi ricordo che mio padre era contrario,  voleva che io finissi prima il liceo, ma poi   Giorgio Albertazzi, il mio maestro, venne a casa mia e convinse i miei a firmare quel contratto. Altri spettacoli che sono stati fondamentali per me sono”Le tre sorelle” di Cechov che ho portato in scena qui a Genova,  “Il lutto si addice ad Elettra” per la regia di Luca Ronconi, di cui ero la protagonista e che fu un’esperienza sconvolgente, grazie alla quale ottenni parecchi premi. Ancora “Zio Vanja” di Cechov,  con cui abbiamo debuttato a Mosca. Poi , naturalmente, tutti gli spettacoli di Siracusa: Medea, Ecuba, Fedra, Le Troiane. A Genova, con ” Giacomo il prepotente” sulla  figura di Giacomo Leopardi, ho iniziato un lavoro sulla drammaturgia contemporanea, che ritengo fondamentale coltivare. Attualmente  con la scuola di recitazione del teatro di Genova, che dirigo, lavoro coi ragazzi proprio sulla drammaturgia contemporanea.

Quale percorso di studi consiglia ad un giovane che desidera intraprendere la carriera di attore? Come consiglia di trasformare una passione in un vero e proprio lavoro?

“La formazione che dà il liceo classico è unica; concordo con Roberto Vecchioni, cantautore e professore di greco, quando dice “io non ho mai paura, perché ho fatto il liceo classico”. La formazione classica fortifica, fornisce il giusto senso del pensiero. A me ha aiutato tantissimo. Di seguito  ritengo che la cosa più importante sarebbe fare teatro da subito, già da ragazzi, anche per coltivare  l’immaginazione. Il teatro è immaginare di essere altro da sé.

 

Le pietre d’inciampo: memoria e riflessione sull’Olocausto

di Camilla Carratù, Gilda Agosti, Maria Giovanna Lauria, Chiara Torazza, 2B

Il ricordo della Shoah non deve essere limitato solo al 27 gennaio, Giornata della Memoria, deve vivere in noi tutti i giorni, ma spesso la nostra mente è occupata da così tanti pensieri che, camminando e guardando a terra, non ci accorgiamo neanche di piccoli frammenti di storia che abbiamo nelle nostre strade.

La 5F del nostro Liceo Classico, seguita dalla professoressa Borello,  ha organizzato un percorso guidato sulle pietre d’inciampo nel centro di Genova per arrivare al cuore degli studenti del Liceo D’Oria.

Qui  e in videoteca il video realizzato dagli studenti di 2B, guidati dalla professoressa Dolcino

Ma cosa sono le “pietre d’inciampo” e perché si chiamano così? Le pietre d’inciampo sono dei  piccoli blocchi di pietra ricoperti da una lastra di ottone su cui sono incisi il nome e la data di deportazione di alcuni ebrei, come piccole targhe commemorative. Il loro nome è derivato dalla funzione che dovrebbero, o meglio, dovremmo fare loro assumere, ossia quella di farci proprio “inciampare” nella memoria di quel tempo per tenere sempre vivo nelle nostre anime il dramma vissuto da tanti uomini, donne e bambini.

La prima pietra ci è stata mostrata da Marco Vecchio; essa ricorda l’arresto di Giorgio Labò, uno studente di architettura che fu arruolato nel genio minatori e che, dopo l’armistizio, fu tradito da uno dei suoi compagni e in seguito catturato dalle SS tedesche. E’ stato prigioniero per 18 giorni; malgrado sia stato sottoposto a terribili torture, non rivelò mai niente negli interrogatori delle SS; venne fucilato con altri suoi nove compagni senza processo.

All’inizio di Galleria Mazzini abbiamo trovato la pietra di Riccardo Pacifici: laureato in Lettere Classiche all’Università di Venezia, divenne rabbino di Genova nel 1936 e venne arrestato nel 1943 dalle SS con la moglie e i suoi figli.

Percorsa Galleria Mazzini, ci siamo fermati in Largo Eros Lanfranco per  ascoltare da Elena Bisio, Petra Torrigiani e Agnese Dighero le storie di alcuni genovesi che hanno aiutato a nascondere degli ebrei: Francesco Repetto,  che nel 1943 ha guidato la delegazione ebraica, un’organizzazione che aiutava gli ebrei a emigrare e a stabilirsi in un nuovo paese; Pietro Boetto, cardinale e arcivescovo di Genova che forniva i beni necessari agli ebrei nascosti; Massimo Teglio, che  ha fatto parte dell’aviazione ed è riuscito a salvare circa 30.000 ebrei andando da Genova a Firenze e fornendo documenti falsi e denaro per i beni di prima necessità. Queste straordinarie persone hanno ricevuto una medaglia al valore per il coraggio dimostrato.

In via Bertola, accanto alla sinagoga di Genova,  sono situate le quattro pietre d’inciampo della famiglia Polacco: Camilla Icardi, Matilda Biasizzo e Claudia Tolomelli ci hanno raccontato la loro storia. Il padre, Albino Polacco, nel 1943 era il custode della sinagoga e venne arrestato con la moglie Linda e i due figli Carlo e Roberto. Molti persone che si trovavano all’interno della sinagoga si salvarono, invece,  grazie al gesto di una signora che dalla finestra sventolò un fazzoletto per avvisare dell’arrivo dei tedeschi.

Infine ci siamo recati davanti alla prefettura per ascoltare la storia di Ercole De Angelis, deportato al campo di Bolzano, assassinato il 18 aprile 1944; Italo Vitale, arrestato in corso Montegrappa il 10 dicembre del 1943 , fu recluso nel carcere di Milano fino alla sua deportazione ad Auschwitz, ma morì durante il terribile viaggio; Emanuele Cavaglione, gioielliere ebreo, si trasferì a Firenze per fuggire dalle deportazioni, ma fu ingannato e ucciso ad Auschwitz il 30 giugno 1944; Margherita Segre, moglie di Emanuele Cavaglione, fu arrestata col marito e portata al campo di Fossoli e morì lo stesso giorno del marito.

Le pietre d’inciampo rappresentano non solo un omaggio alle vittime delle persecuzioni naziste, ma anche un invito alla riflessione e alla memoria collettiva. Questi piccoli monumenti sparsi in tutta Europa, ci ricordano l’importanza di non dimenticare le ingiustizie del passato ed impegnarci per un futuro di rispetto e umanità.

Rai: dietro le quinte

Di Anita Corsi, Alexandra Delrio,  Lorenzo Moretti, Beatrice Pincelli, Giulia Portalupi, Federica Tanca, Emma Zini, 2B

La 2B si avventura nel backstage della Rai

Avere l’opportunità di visitare la sede regionale della Rai a Genova è stato davvero emozionante perché ci ha consentito di vedere per la prima volta quello che in futuro potrebbe diventare il nostro lavoro, veder applicare nella realtà tutto ciò che studiamo o vediamo in televisione tutti i giorni, attraverso una visita esclusiva ed unica per scoprire i segreti del mondo dei media.

Guarda il video con la nostra esperienza 

Durante il tour abbiamo avuto accesso alle tecnologie all’avanguardia e ai processi creativi che alimentano la produzione di contenuti televisivi e radiofonici. Dallo studio alla regia, ogni angolo della sede ha svelato un aspetto affascinante del lavoro che permette la realizzazione di programmi che raggiungono ogni giorno milioni di italiani. Un’esperienza che ha stimolato riflessioni sul ruolo dei media nella società contemporanea e sull’evoluzione del giornalismo e della comunicazione.

I giornalisti e i tecnici coinvolti nel progetto “Rai porte aperte” hanno iniziato la visita illustrandoci con un breve discorso introduttivo quello che sarebbe stato il programma della giornata, poi ci hanno accompagnato negli studi di registrazione.

Abbiamo simulato un servizio radiofonico; guidati dalla giornalista Ilaria Linetti, i responsabili del progetto ci hanno mostrato come realizzare un servizio, tra cabine di regia e conduzione. In questa fase abbiamo simulato e imparato a mandare in onda la sigla di testa e di coda del telegiornale, a introdurre servizi di inviati e a regolare le impostazioni audio. Questo è stato uno dei momenti più interessanti della visita perché ci ha permesso di constatare l’enorme lavoro necessario per produrre ogni servizio giornalistico, anche della durata di pochi minuti. Abbiamo capito che il giornalista e il tecnico devono comprendersi e intendersi rapidamente e  che alla messa in onda del telegiornale deve collaborare tutta la redazione .

Abbiamo visitato anche l’archivio dove vengono custoditi i servizi audio e video che la Rai ha realizzato nel corso degli anni. Abbiamo avuto la possibilità di verificare che anche il materiale dell’archivio storico sta venendo via via digitalizzato: questo è il luogo dove si incontrano il passato e il futuro del giornalismo ed è stato affascinante poter ammirare questo delicato e complicato processo da vicino.

Siamo poi stati accompagnati nello studio dove si registra in diretta il telegiornale regionale.

Ci è stata data la divertente ed emozionante possibilità di simulare una diretta del Tg, di calarci nei panni di conduttori, giornalisti ed inviati speciali, di tecnici e direttori della regia. Abbiamo imparato anche attraverso la pratica che per la riuscita del telegiornale è necessaria una grande collaborazione tra tutte le figure professionali e che, quando si va in onda in diretta, bisogna saper gestire  l’errore e non fermarsi.

Confrontandoci tra noi, una volta terminata la visita, ci siamo accorti che siamo rimasti tutti particolarmente colpiti dallo studio televisivo che fino a quel momento avevamo visto solo sullo schermo.

Quest’esperienza è stata molto importante per il nostro orientamento professionale: oltre al fatto che per la prima volta abbiamo potuto vedere dal vivo dei professionisti all’opera, i responsabili della visita si sono dimostrati molto disponibili e attenti nel rispondere alle nostre domande, fornendoci  numerosi consigli utili per la scelta del percorso di studi.

La professione del giornalista, hanno ribadito, è in parte un lavoro di sacrifici, ma anche di grande stimolo e soddisfazione.