L’altra faccia della Casa dello Studente. Visita ai sotterranei e incontro con il partigiano “Giotto”

di Benedetta Lorenzon e di Benedetta Pittaluga, 3D

Il 16 aprile 2024, in occasione della 79esima giornata della Liberazione, il 25 aprile, tre classi del Liceo Classico Andrea D’Oria sono andate in visita alla Casa dello Studente. Dietro un edificio apparentemente normale in cui gli studenti universitari fuori sede trovano alloggio, infatti, si cela una storia terribile, ma realmente accaduta e che, per questo, bisogna conoscere. Le atrocità della Seconda Guerra Mondiale che sembrano tanto lontane da noi si sono, infatti, verificate in un luogo davanti a cui tutti i genovesi, almeno una volta nella vita, sono passati.

La Casa dello Studente divenne operativa nel 1935 con le stesse finalità che ha oggigiorno. Gestita dal Partito Nazionale Fascista, la Casa era un luogo che Benito Mussolini utilizzava per portare avanti la propria propaganda. Lì studiavano ragazzi borghesi, provenienti da famiglie molto benestanti, in una sorta di “paradiso”. La Casa era, infatti, dotata di camere spaziose e confortevoli, di giochi, come il biliardo, in cui i ragazzi potevano cimentarsi. Consisteva, di fatto, in un luogo in cui i giovani potevano studiare, socializzare e divertirsi: era un’ottima prigione d’oro in cui rinchiudere i ragazzi e impedire loro di capire ciò che il regime realmente faceva.

La storia della Casa ebbe una svolta durante gli anni finali della guerra in cui divenne sede della Gestapo e un luogo di tortura di prigionieri politici, partigiani ed antifascisti.

Il 23 aprile 1945, con l’approssimarsi della Liberazione, i tedeschi abbandonarono l’edificio bruciando tutta la documentazione che attestava le torture tenutesi in quel luogo.

Nei mesi successivi, il Comune di Genova decise di mettere la Casa dello Studente a disposizione delle famiglie che, a causa dei bombardamenti, avevano perso la casa. L’amministrazione comunale, però, si scontrò con quella universitaria, che voleva che la Casa tornasse ad avere la sua originaria funzione. Alla fine, nel 1946, la Casa fu restituita all’università. Le celle e le cantine, dove erano avvenute le torture, tuttavia, furono murate insieme al rifugio antiaereo. In questo momento storico, infatti, era necessario portare avanti un ben preciso messaggio propagandistico: non era stata l’Italia la causa della guerra, ma solamente la Germania nazista. In un momento di passaggio quale quello del dopoguerra era, infatti, fondamentale che nei cittadini italiani sorgesse un sentimento patriottico.

La situazione, tuttavia, cambiò con le proteste del 1968: gli studenti iniziarono a sentire l’esigenza di rievocare ciò che realmente era successo poco più di due decenni prima. Nel 1972, durante un’occupazione della Casa dello Studente da parte di studenti, un ex partigiano di nome Livio indicò uno degli ingressi alle celle della tortura. Dopo varie notti di lavoro, i compagni di Lotta Comunista (la Casa era diventata nel ’68 sede del gruppo extraparlamentare) riuscirono a praticare un foro nel muro con cui erano stati chiusi i luoghi delle torture.

Questi locali furono adibiti a Museo della Resistenza e gli studenti lo dedicarono a Rudolf Seiffert, un tedesco che si oppose ad Adolf Hitler e che, per questo, venne giustiziato. Avendo egli, tuttavia, una gamba di legno, riuscì a nascondere in questa una lettera con cui rivolgeva l’ultimo saluto alla famiglia. Gli studenti non dedicarono, dunque, la Casa a un italiano, come forse risulterebbe spontaneo pensare dal momento che la Casa si trova nel nostro Paese, ma proprio a questo operaio tedesco. Infatti non è vero che tutti i tedeschi fossero allineati con il regime nazista: questa idea è il frutto di una strumentalizzazione della politica italiana, per sminuire le reali responsabilità storiche del fascismo rispetto alla sua controparte tedesca. Gli studenti, dunque, andando contro la propaganda, dichiararono con questo atto la necessità di ricordare ciò che era successo, tanto più che era accaduto anche a causa di italiani, genovesi, nostri concittadini.

La visita presso la Casa da parte degli studenti del Liceo Classico Andrea d’Oria prosegue con un incontro con un ex partigiano: Giordano Bruschi, noto come “Giotto” durante la guerra.

Innanzitutto, Giordano Bruschi ha delineato il contesto storico nel quale si era affermato il fascismo e ci ha spiegato come veniva percepito questo governo all’epoca: “Il fascismo inizialmente sembrava un’epoca trionfale per l’Italia, con un grande capo, l’uomo solo al comando. Mussolini, però, ha portato l’Italia nel baratro, anno dopo anno; ha dichiarato guerra a dieci paesi. Mussolini non si fermava più, perché pensava che più guerre faceva e più sarebbe stato apprezzato. Questo in realtà è stato il fascismo, la guerra, e poi ne abbiamo patito le conseguenze. La prima di tutte queste conseguenze è stato un cartellino, la tessera annonaria: non si era più liberi di comprare nei negozi, ma bisognava avere questo tagliandino.  Poi vennero anche ridotte le razioni, eravamo affamati. E’ la nostra storia, della fame e della guerra.”

“All’inizio invadevamo i paesi, abbiamo fatto delle cose orribili. Nella storia dell’umanità si cerca di creare sempre la sensazione che noi siamo le vittime, che gli avversari sono cattivi e che ci fanno del male, ma noi abbiamo usato per primi i gas asfissianti in Etiopia. Noi ragazzini di allora come voi andavamo per le strade a cantare che era bello che ci fosse la guerra, con la guerra si occupavano territori; una delle canzoncine che ci insegnavano faceva così:”Osteria dei tre boschetti, in Italia siamo stretti, allungheremo lo stivale fino all’Africa orientale”.

Giotto poi ci ha raccontato la storia di Antonio Gramsci e l’origine del termine partigiano. Inoltre, ci ha invitato a riflettere sull’indifferenza, un tema attualissimo ancora oggi: “Gramsci aveva fondato un giornale di giovani socialisti: “Città futura”. Questo giornale rappresentava il desiderio di quello che poteva essere l’avvenire. L’undici febbraio del 1917 Gramsci fu il primo ad utilizzare una parola che oggi è diventata famosa: partigiano. Gramsci diceva: “Sono partigiano come uomo di parte”. Contemporaneamente, aveva scritto una cosa fondamentale, che dovrebbe essere di insegnamento per ognuno di voi. Aveva scritto “Odio gli indifferenti”. Gli indifferenti sono quelli che non vogliono partecipare, che non vogliono interessarsi delle cose pubbliche, dell’uguaglianza e della giustizia. Il fascismo condannò Gramsci a vent’anni di reclusione. Questo è stato il fascismo, chi non era d’accordo con il partito fascista andava in carcere. In carcere Gramsci fu isolato. Del processo di Gramsci è rimasta famosa la frase: ”Bisogna impedire al cervello di Gramsci di funzionare per vent’anni”. Una frase che dovremmo tutti ricordare, pensate a come era la magistratura allora.”

Giotto e il Circolo Sertoli hanno inventato il “Calendario del popolo antifascista-la resistenza partigiana giorno per giorno”, nel quale, ogni giorno dell’anno, si ricordano personalità che hanno lottato contro il regime fascista: “Abbiamo pensato che fosse importante ricordare anche chi ha fatto del bene, chi ha lottato per la libertà e abbiamo inventato questo calendario.  Qui c’è la storia popolare, che riguarda genovesi, italiani, sacerdoti, operai, contadini. E’ importante ricordare da dove veniamo. Ogni giorno c’è il ricordo di quelli che sono stati i nostri combattenti.”

Giotto inoltre ci ha spiegato come un grande autore della letteratura italiana, Italo Calvino, ha trattato il tema della resistenza nella poesia “Oltre il Ponte”: “Italo Calvino ha dedicato una poesia alla figlia Giovanna, la poesia “Oltre il ponte”. Pensate a come Calvino descrive la realtà partigiana, con l’amore che un papà ha per la propria figlia. In due versi c’è l’essenza della resistenza: “Siam pronti, chi non vuole chinare la testa con noi prenda la strada dei monti.”. “

Ci fu la resistenza anche in altri Paesi, in Francia, in Iugoslavia, in Grecia e anche nella stessa Germania, ma secondo Giordano la resistenza italiana fu di una forza maggiore a quella delle altre resistenze: “La resistenza d’Italia è una resistenza che dà lezione alle altre resistenze. L’ampiezza della resistenza italiana non si è vista da nessuna parte. La storia della resistenza è una storia popolare.”

Giordano, inoltre, ci ha raccontato la storia di alcune personalità ricordate nel calendario, tra cui quella di Don Angelo Bobbio e quella di Ottavio Moro e della figlia Stefanina Moro: “Nel nostro calendario, la giornata del 3 gennaio è dedicata a un sacerdote, Don Angelo Bobbio, che venne condannato a morte dai fascisti perché diceva la Messa ai partigiani. Il comandante del plotone dell’esecuzione chiese a Don Angelo Bobbio se voleva pregare e Don Angelo Bobbio disse: ”Non ho bisogno di pregare per me, ma pregherò per voi che mi uccidete.”

“Il partigiano del giorno di oggi (16 aprile) è Ottavio Moro, camallo di Genova. Ottavio Moro aveva una figlia di nome Stefanina e l’aveva educata al senso della libertà. Ottavio Moro morì in battaglia. Stefanina, a sedici anni, decise di partecipare alla lotta e decise di fare quello che fecero tante altre donne partigiane: fece la staffetta. L’arma fondamentale di Stefanina Moro era la bicicletta: pedalava tra un luogo e l’altro della città per comunicare i messaggi del comitato di liberazione. Tante staffette morirono perché sapevano molte informazioni riguardo alla resistenza. Stefanina Moro venne arrestata e i fascisti cercarono di farla parlare; fu orribilmente torturata ma non parlò. Sono tutti episodi veri quelli che caratterizzano queste storie, alcuni accaduti qui.”

Questo incontro è stato molto interessante e coinvolgente e inoltre ci ha invitato a riflettere molto su un periodo storico cronologicamente non molto lontano da noi caratterizzato da grandi atrocità. Inoltre, abbiamo potuto capire quanto temi attuali allora, come l’indifferenza, il coraggio, la presa di posizione,  possano esserlo ancora oggi, perché i resistenti ci furono allora come possono esserci anche oggi e in futuro: “Finché ci sarà un attimo di ingiustizia nel mondo dobbiamo fare in modo che qualcuno di noi lotti per la libertà.”

 

Fonte immagine in evidenza: genova24.it

 

 

 

La mafia teme la scuola più che la giustizia

di Aurora Borriello, Eleonora Capone, Alessia Grandicelli, 2B

Due incontri preziosi

“La mafia teme la scuola più che la giustizia e l’istruzione toglie l’erba sotto i piedi della cultura mafiosa”.

Ne era convinto Antonino Caponnetto, il noto magistrato italiano alla guida del Pool antimafia ideato da Rocco Chinnici: è necessario riflettere e lavorare nelle scuole sul concetto di legalità, cioè sulla consapevolezza che un comportamento corretto e rispettoso delle leggi è un valore. Anche e soprattutto quando tutto intorno a noi sembra negarlo.

Come ci spiegano le persone che hanno avuto a che fare con la mafia, è fondamentale discutere della mafia e della sua iniquità. La vera arma per combattere questo genere di criminalità sono infatti la conoscenza e la denuncia dei fatti.

Quest’anno, sono stati due gli incontri che ci hanno permesso di comprenderlo molto bene: quello con Tiberio Bentivoglio, testimone di giustizia, ci ha raccontato la sua vicenda con la mafia e quello con Giovanni e Francesca Gabriele, genitori di una vittima innocente, che sono venuti a tener viva la memoria di loro figlio ucciso nel 2009, Domenico Gabriele.

Un percorso di letture … ad alta voce

Prima degli incontri abbiamo deciso di approfondire l’argomento leggendo ad alta voce un libro curato da Don Ciotti, fondatore di Libera, “La classe dei banchi vuoti”.

Si tratta di una raccolta di storie che parla delle vittime innocenti della mafia. L’autore ha immaginato di rappresentare in un’aula nove bambini , vittime innocenti di mafia: i banchi dell’aula alla fine della lettura rimanevano vuoti e  nessuno più rispondeva all’appello,  a rappresentare simbolicamente la fine delle brevi vite di ciascun bambino. 

Per arricchire le nostre conoscenze riguardo al tema, in classe abbiamo letto, suddivisi in gruppi,  quattro libri: “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia un romanzo giallo in cui l’autore indaga le caratteristiche della mafia, l’omertà dei siciliani ed il ruolo della politica, spesso complice della criminalità organizzata. Sciascia attraverso questo libro si schiera contro i politici che, spesso, sono complici della mafia, ma anche contro l’omertà dei siciliani che attraverso il silenzio finiscono per dare sostegno alla mafia.

Per arricchire le nostre conoscenze riguardo al tema, in classe abbiamo letto, suddivisi in gruppi,  quattro libri: “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia un romanzo giallo in cui l’autore indaga le caratteristiche della mafia, l’omertà dei siciliani ed il ruolo della politica, spesso complice della criminalità organizzata. Sciascia attraverso questo libro si schiera contro i politici che, spesso, sono complici della mafia, ma anche contro l’omertà dei siciliani che attraverso il silenzio finiscono per dare sostegno alla mafia.

“La mafia spiegata ai ragazzi”  di A. Nicaso  si apre invece con un’ esperienza personale dell’autore, la conoscenza di un bambino vittima della mafia, a cui era stato ucciso il padre che si era rifiutato di comprare il ferro dai mafiosi della zona.

Nicaso subito spiega lo scopo della mafia: il guadagno. Non solo di soldi, ma anche di potere, di prestigio, raggiungibile con qualsiasi mezzo, violenza inclusa. 

“Non chiamateli eroi” di N. Gratteri e A. Nicaso, racconta delle vittime innocenti di mafia: ci ha particolarmente colpito la figura di Santino Di Matteo.

Il nostro progetto

Ogni gruppo ha poi preparato una lezione in cui leggere brani significativi dei libri letti, spiegarne il contenuto e coinvolgere gli ascoltatori sollecitandone la partecipazione, secondo le indicazioni che ci sono state fornite nell’incontro di lettura ad alta voce con Panagiota Dimopolou, coordinatrice del circolo  della LaAV di Genova.

Infine abbiamo esposto il lavoro che ha riscosso più successo a una classe del nostro liceo. Il libro prescelto è stato “Io dentro gli spari” che narra la vicenda di Santino, un ragazzino siciliano di circa nove anni che assiste all’omicidio del padre e del nonno da parte della mafia con cui erano entrati in contatto viste le difficoltà economiche. Proseguendo con la storia Santino sarà costretto a trasferirsi e a cambiare identità.

Grazie alle numerose testimonianze che abbiamo ricevuto in questi mesi abbiamo compreso il significato della giustizia e del valore della vita. Un concreto esempio sono stati i genitori di Dodó che, commossi e addolorati, hanno trasmesso un messaggio significativo a noi ragazzi guardandoci con la forte speranza di poter cambiare il futuro in meglio.

L’enciclopedia d’Italia di Aldo Cazzullo

di Matteo Barcella, Chiara Capitanio, Greta Mumolo, 4B

 “Enea è l’eroe pio, misericordioso, che si fa carico del passato e del futuro, che fugge da Troia in fiamme, col padre Anchise sulle spalle e il figlio Iulo […] l’eroe degli antenati e dei discendenti”

Viene evocato così il progenitore delle genti romane, da Aldo Cazzullo, giornalista del Corriere della Sera, conduttore di Una giornata particolare su La7, ospite al Liceo Classico A. D’Oria per presentare lo spettacolo Il duce delinquente in scena al Teatro Modena di Genova.

Interrogato dalle domande degli studenti, raduna, come in un’enciclopedia, l’identità della nostra nazione.

“Non è nata dalla politica, dalla diplomazia, dalla guerra, ma è nata dall’arte, dalla bellezza, dalla cultura, dai versi di Dante, dagli affreschi di Giotto, dal Rinascimento. L’Italia è una nazione culturale” – afferma Cazzullo in un continuo riferimento ai veri fondamenti delle società del passato.

Si sofferma sulla pluralità delle personalità che hanno influenzato le scene del passato, da Virgilio, tanto amato dal Medioevo, che ha donato alla letteratura un nuovo modello di sentirsi italici, sino alle donne del “We can do it”, che come eroine ovidiane, hanno mantenuto salda l’economia durante la guerra.

È un viaggio di parole che attraversa anche le pagine nere del fascismo, ovvero quella mitomania che ha rinchiuso la penisola in una gabbia di ostilità e intolleranze, con a capo la criminalità, che lo spettacolo di Cazzullo ha sviscerato in una attenta introspezione dei vertici delle camicie nere.

Una continua contrapposizione fra “una Italia che fornisce molti mezzi per parlar male di lei”, che ancora soffre la disparità di genere, mentre allo stesso tempo ha partorito chi la rese fiera di essere nazione, sebbene il suo particolarismo territoriale e politico.

Qui giace Raffaello da lui, quando visse, la natura temette d’essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire – ricorda Cazzullo l’epitaffio della tomba di Raffaello, sita nel Pantheon, l’emblema dello spirito di integrazione dei romani, che avevano dedicato un tempio a tutte le divinità dell’impero, dal vecchio Giove al nuovo culto di Mitra.

Le sue parole si fanno copione la sera del 26 gennaio. Durante lo spettacolo messo in scena al Teatro Modena, tratto dal suo saggio “Mussolini il capobanda”, Aldo Cazzullo ripercorre gli anni bui del fascismo, accompagnando lo spettatore tra i meandri della mente di Mussolini, protagonista indiscusso di quest’epoca. Cazzullo dipinge un ritratto estremamente cruento del duce, non maschera l’orrore delle sue azioni ma da loro voce per rivendicare la memoria delle vittime innocenti del fascismo. Mussolini viene presentato sotto un’ottica diversa rispetto al consueto, non soltanto come politico intransigente, ma anche come uomo senza scrupoli, nella vita privata e nei confronti dei suoi affetti personali.

Moni Ovadia prende in prestito le voci dei protagonisti del ventennio con minuziose imitazioni, si fa narratore e cantore di invasori e oppressi, vincenti e sconfitti, carnefici e vittime. Ebraico, greco, russo, spagnolo, tedesco, un viaggio tra lingue di popoli diversi tra loro ma uniti dal sangue versato negli anni della Seconda Guerra Mondiale.

Parole e canti non si perdono nel silenzio, ma vengono sospinte dolcemente dalle note della poliedrica musicista Giovanna Famulari, tra suoni dolci e delicati quanto profondi e oscuri degli strumenti che maneggia con maestria: violoncello, tastiera, armonica. Due sole mani si destreggiano in una colonna sonora varia ed emozionante e come se sul palco la musicista non fosse soltanto una, più strumenti producono melodie all’unisono.

‘’Il duce delinquente’’ sarà mandato in onda su la7 la sera del 24 aprile in onore della festa della Liberazione, perché ancora troppo spesso qualcuno afferma che Mussolini ‘’ha fatto anche delle cose buone’’ e che il suo unico errore sia stato quello di entrare in guerra. Il fascismo è ancora oggi una ferita aperta del nostro paese, un’ombra che l’Italia continua a portarsi dietro, e, sebbene molti riconducano questo fenomeno esclusivamente al secolo scorso, in realtà le sue ripercussioni affiorano anche nel nostro presente, manifestandosi nella vita di tutti i giorni in maniera più o meno velata.

 

 

Il futuro “oltre il ponte”

Il messaggio di Italo Calvino partigiano “Santiago” raccontato da Giordano Bruschi partigiano “Giotto” agli studenti del Liceo D’Oria.

a cura di Andrea Malusel e Filippo Montalto, classe 5G

 

“Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte stessa, saranno pezzetti di storia, e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla storia di domani, sulla storia di domani del genere umano.”

Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, 1947

 

Il 15 ottobre 2023 si è celebrato il centenario della nascita di Italo Calvino, non solo uno dei

più importanti letterati italiani del XX secolo, ma anche un giornalista, un politico, un partigiano. Un uomo eccezionale, ricordato con grande stima e affetto da coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo. Tra questi Giordano Bruschi, testimonianza vivente della Resistenza, ha incontrato le classi quinte del liceo D’Oria per raccontare il proprio rapporto con il celebre autore, da lui incontrato di persona grazie al suo comandante di reggimento partigiano.

 

Italo Calvino proveniva da una famiglia particolare: il padre, Mario, e la madre, Eva Mameli, furono tra i pionieri nello studio delle coltivazioni esotiche. Viaggiavano continuamente per studiare nuove colture, e Italo Calvino nacque all’Avana, nel sobborgo di Santiago de las Vegas, il 15 ottobre 1923. Proprio a queste origini “latine” è dovuta la scelta del nome da partigiano “Santiago”. Nel 1942, mentre frequentava la facoltà di agraria, Calvino venne a contatto con l’ambiente antifascista attraverso le celebri figure di Piero Calamandrei, autore di Uomini e città della Resistenza. Discorsi, scritti ed epigrafi, e Teresa Mattei, partigiana e donna di grande carisma.

 

A seguito dell’uccisione da parte dei fascisti del giovane medico comandante partigiano Felice Cascione, Calvino aderì alla Resistenza nel 1944, unendosi alla divisione d’assalto “Garibaldi”. All’esperienza nella Resistenza e alla “definizione” della memoria di quest’ultima Calvino dedicò in particolare il romanzo Il sentiero dei nidi di ragno (1947) e la raccolta di racconti Ultimo viene il corvo (1949), scritti giovanili che presentano già alcune delle peculiarità essenziali dello stile dell’autore e che rappresenteranno sempre per lo stesso Calvino punti imprescindibili della sua produzione.

 

Il canto Oltre il ponte, scritto nel 1959 e dedicato alla figlia Giovanna, racconta la Resistenza in versi, concentrandosi su quello che ne fu il più profondo motore, e il senso umano più alto: la speranza, prima di tutto dei giovani, che nella lotta vedevano la prospettiva futura di un mondo migliore, in cui avrebbe dominato l’amore, nel senso più ampio in cui il termine può essere inteso. La Resistenza diventa quindi una esperienza di maturazione, di consapevolezza, e il ponte da conquistare con le armi diventa il simbolo di tutto ciò che deve essere superato per portare l’umanità al suo riscatto.

 

“Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte che è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte”

 

All’alba della Liberazione, Calvino si pose una domanda cruciale: “Quello che abbiamo fatto resterà?” Chi, insomma, avrebbe tramandato i valori per cui tanti giovani avevano dato la vita? La risposta a questa domanda vive negli occhi di Giordano Bruschi, partigiano “Giotto”, così come negli occhi delle nuove generazioni che ricevono, dandole nuova vita, la testimonianza del miracolo di migliaia di giovani che, rischiando e perdendo la propria vita, fecero una scelta, consapevole e soprattutto libera, di lotta contro le ingiustizie della società in cui vivevano.

 

Le Heroides in scena al teatro greco di Palazzolo Acreide

In scena, sul palco del teatro greco di Palazzolo Acreide

 

Il progetto Siracusa – la messa in scena di un testo della classicità, da rappresentare al Festival  del Teatro Classico – è un’iniziativa amatissima, proposta da anni dalla nostra scuola e coordinata da sempre dalla prof.ssa Marina Terrana e dal regista-attore del Teatro della Tosse Enrico Campanati. Vi possono aderire tutti gli studenti del triennio che abbiano voglia di mettersi in gioco, affrontare i propri limiti e conoscere le proprie potenzialità. Infatti, oltre a essere una splendida occasione per relazionarsi con studenti di altri corsi è un’ottima possibilità di crescita interiore e conoscenza di sé.
Sono ben ventinove gli studenti che quest’anno hanno scelto di dedicare almeno un pomeriggio alla settimana, nonostante i numerosi impegni – non solo  scolastici – a mettere in scena le “Heroides” del poeta latino Ovidio.
Si tratta di un’opera abbastanza complessa da rappresentare,  poiché non è un testo unico ma una raccolta di splendide lettere (immaginarie) scritte da donne famose, eroine del mito greco.

Il regista dello spettacolo, Enrico Campanati

Arianna, Ipsipile, Medea, Canace, Elena, Laodamia, Ero… queste le donne la cui lettera – espressione d’intenso amore o di dolore  – verrà messa in scena dai nostri attori giovedì 18 maggio al Teatro greco di Palazzolo Acreide,  sede del Festival del Teatro Classico Giovani.

Le prove in Aula Magna, prima della partenza per la Sicilia

Quattro classi quarte del liceo li accompagnano, cogliendo l’occasione di uno splendido viaggio in Sicilia che li conduce ad ammirare alcuni dei luoghi più suggestivi della Magna Grecia.
Alice Bettuelli ha voluto lasciarci una testimonianza del significato di questo progetto per lei:
Quest’anno ho deciso di partecipare al Progetto Siracusa. Non mi ero mai impegnata in un progetto simile e non pensavo che il mondo della recitazione mi sarebbe piaciuto così tanto. In tutta sincerità è un’esperienza veramente coinvolgente e significativa. 
Sia Enrico, il nostro regista, sia le professoresse che ci seguono, sin da subito ci hanno fatto sentire parte del gruppo e ci hanno spronato a far uscire il nostro lato più creativo. Con i compagni si è creata immediatamente sintonia, nonostante fossimo tutti alunni di classi diverse. Anche per questo motivo trovo il progetto importante: unisce ragazzi che probabilmente non si sarebbero mai incontrati permettendo di conoscere nuove persone e fare nuove amicizie. 
Durante gli incontri il clima nell’aria è sempre unico: voglia di divertirsi, a volte anche troppa, e tanto desiderio di far uscire qualcosa di bello, proponendo sempre idee e impegnandosi. Purtroppo non sono potuta partire per Siracusa per problemi di salute, ma avendo fatto parte del gruppo per tutto l’anno posso dire che di questa esperienza mi rimarrà tutto ciò che ho imparato, settimana dopo settimana.
Il progetto è veramente un’occasione unica, per mettersi in gioco, provare nuove emozioni e avere l’opportunità di fare un viaggio pazzesco. Ringrazio tutte le professoresse ed Enrico, anche per la pazienza!

Alice Bettuelli, 5D

La delegazione del D’Oria alla sessione nazionale del Parlamento Europeo Giovani

Mercoledì 12 aprile siamo partiti da Genova per arrivare a Trieste, la città che ci avrebbe ospitato per tutta la permanenza della sessione nazionale del Parlamento Europeo Giovani (EYP).

La delegazione del nostro liceo era formata da me, da Livia Parodi, Anna Pastorino, Beatrice Piatti, Rita Saguato e dal professore di Storia e Filosofia Santino Mele.

Una volta raggiunta la stazione di Trieste, con tutti i nostri bagagli ci siamo diretti alla famosissima Piazza Unità d’Italia dove, una volta presentati agli Organizzatori, siamo stati distribuiti nei nostri rispettivi “committees”.

I “committees” sono gruppi di lavoro costituiti da ragazzi provenienti da tutta Europa con i quali si condivide e sviluppa un lavoro proposto dagli organizzatori.

Insieme ai nostri nuovi compagni, con i quali è obbligatorio parlare inglese, per tutto il primo pomeriggio ci siamo focalizzati su quella fase del progetto chiamata “team-building”, cioè una serie di giochi di gruppo che hanno il preciso scopo di rafforzare i rapporti tra i vari compagni.

Arrivata la sera del primo giorno, sotto un diluvio pazzesco, siamo andati a mangiare tutti insieme da Rosso Pomodoro, monopolizzando letteralmente tutto il locale, monopolio che durerà per tutta l’esperienza.

Nel pomeriggio del secondo giorno il mio gruppo era già riuscito a delineare quelle linee guida che avremmo dovuto sviluppare per riuscire ad affrontare la “General Assembly” più che dignitosamente.

La “General Assembly” è il momento culmine dell’esperienza, è infatti un’assemblea nella quale si riuniscono le varie delegazioni per discutere dei problemi che hanno dovuto affrontare (problemi di natura economica, sociale, politica, ecologica etc.). E’ in quest’occasione che si aprono dei veri dibattiti con tanto di giuria e telecamere. Insomma, partecipare ad una G.A. (come la chiamano i ragazzi dell’EYP) vuol dire partecipare ad una vera e propria simulazione di un’assemblea al Parlamento Europeo.

Il venerdì, l’ultimo giorno per lo sviluppo dei nostri elaborati, l’ansia era palpabile. Tutti quanti riguardavano i punti che solo dopo poche ore avremmo dovuto riferire durante la GA.

Ricordo precisamente le camerate: erano colme di ragazzi in fibrillazione, che scherzavano e discutevano su quale parte avrebbero dovuto omettere e quale parte del discorso avrebbero dovuto obbligatoriamente riportare, correggendo bozze e ricontrollando continuamente la grammatica.

Al mattino seguente, al suono della sveglia siamo scattati tutti in piedi come dei soldatini; l’emozione e l’agitazione ci hanno fatto preparare in pochissimo tempo. Eravamo tutti bellissimi.

Nell’attesa di arrivare al palazzo che avrebbe ospitato la General Assembly, abbiamo trascorso proprio dei bei momenti, sentendoci adulti e importanti.

Il tempo è passato velocissimo tra scambi di opinioni, interventi e approfondimenti, e in un batter d’ali di farfalla è arrivato il momento in cui, dopo l’ultima presentazione, quella del mio “committee”, la giuria ha proclamato la fine della General Assembly e della 53esima Sessione Nazionale del Parlamento Europeo dei Giovani Italia.

Fatta un po’ di baldoria la sera e la notte assieme a tutti i compagni di viaggio, la delegazione del Liceo Andrea D’Oria, ha preso il treno della domenica, portandosi dietro valigie e borsoni colme di nuove conoscenze, ma soprattutto piene di emozioni e nuove amicizie.

Luca Legrottaglie

Concorso Young Women in Public Affairs promosso da Zonta International. Premiate due studentesse del Liceo Classico per l’Europa

Zonta International è un’importante organizzazione di servizio, nata negli USA nel 1919, in particolare con l’obiettivo di sostenere la condizione femminile nel mondo, e deve il suo nome ad una parola del linguaggio Sioux che significa “onesto e degno di fiducia”.  Una delle oltre trentamila socie che ne fanno parte è l’avvocato Chiara Rogione, nostra preziosissima e storica collaboratrice del Liceo Classico per l’Europa, che ci ha proposto il programma Young Women in Public Affairs (YWPA).

Avviato da Zonta International nel 1990, il programma ha lo scopo di valorizzare le giovani di età compresa tra i 16 e 19 anni che dimostrino abilità di leader e operino in attività sociali e civiche, così da incoraggiarle a continuare l’Impegno nella vita pubblica. Il concorso si svolge nei 63 paesi in cui Zonta è presente. 

Con questa iniziativa Zonta intende promuovere e incoraggiare la partecipazione delle Giovani alla vita pubblica premiando le studentesse che dimostrino attitudine allo studio, al servizio e all’impegno sociale, doti di leadership e dedizione all’avanzamento della condizione della donna , sia a livello locale che internazionale.

La nostra studentessa Bianca D’Aversa di IV A, seguita dalla sua compagna Alice Luppi al secondo posto, ha vinto il premio ligure e poi ha spiazzato tutte le altre concorrenti, in particolare svizzere e austriache, anche nella seconda fase del concorso, aggiudicandosi così uno dei premi internazionali!

Il suo brillante curriculum e la sua padronanza delle lingue straniere hanno fatto la differenza.

Bravissima, Bianca!