di Aurora Borriello, Eleonora Capone, Alessia Grandicelli, 2B
Due incontri preziosi
“La mafia teme la scuola più che la giustizia e l’istruzione toglie l’erba sotto i piedi della cultura mafiosa”.
Ne era convinto Antonino Caponnetto, il noto magistrato italiano alla guida del Pool antimafia ideato da Rocco Chinnici: è necessario riflettere e lavorare nelle scuole sul concetto di legalità, cioè sulla consapevolezza che un comportamento corretto e rispettoso delle leggi è un valore. Anche e soprattutto quando tutto intorno a noi sembra negarlo.
Come ci spiegano le persone che hanno avuto a che fare con la mafia, è fondamentale discutere della mafia e della sua iniquità. La vera arma per combattere questo genere di criminalità sono infatti la conoscenza e la denuncia dei fatti.
Quest’anno, sono stati due gli incontri che ci hanno permesso di comprenderlo molto bene: quello con Tiberio Bentivoglio, testimone di giustizia, ci ha raccontato la sua vicenda con la mafia e quello con Giovanni e Francesca Gabriele, genitori di una vittima innocente, che sono venuti a tener viva la memoria di loro figlio ucciso nel 2009, Domenico Gabriele.
Un percorso di letture … ad alta voce
Prima degli incontri abbiamo deciso di approfondire l’argomento leggendo ad alta voce un libro curato da Don Ciotti, fondatore di Libera, “La classe dei banchi vuoti”.
Si tratta di una raccolta di storie che parla delle vittime innocenti della mafia. L’autore ha immaginato di rappresentare in un’aula nove bambini , vittime innocenti di mafia: i banchi dell’aula alla fine della lettura rimanevano vuoti e nessuno più rispondeva all’appello, a rappresentare simbolicamente la fine delle brevi vite di ciascun bambino.
Per arricchire le nostre conoscenze riguardo al tema, in classe abbiamo letto, suddivisi in gruppi, quattro libri: “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia un romanzo giallo in cui l’autore indaga le caratteristiche della mafia, l’omertà dei siciliani ed il ruolo della politica, spesso complice della criminalità organizzata. Sciascia attraverso questo libro si schiera contro i politici che, spesso, sono complici della mafia, ma anche contro l’omertà dei siciliani che attraverso il silenzio finiscono per dare sostegno alla mafia.
Per arricchire le nostre conoscenze riguardo al tema, in classe abbiamo letto, suddivisi in gruppi, quattro libri: “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia un romanzo giallo in cui l’autore indaga le caratteristiche della mafia, l’omertà dei siciliani ed il ruolo della politica, spesso complice della criminalità organizzata. Sciascia attraverso questo libro si schiera contro i politici che, spesso, sono complici della mafia, ma anche contro l’omertà dei siciliani che attraverso il silenzio finiscono per dare sostegno alla mafia.
“La mafia spiegata ai ragazzi” di A. Nicaso si apre invece con un’ esperienza personale dell’autore, la conoscenza di un bambino vittima della mafia, a cui era stato ucciso il padre che si era rifiutato di comprare il ferro dai mafiosi della zona.
Nicaso subito spiega lo scopo della mafia: il guadagno. Non solo di soldi, ma anche di potere, di prestigio, raggiungibile con qualsiasi mezzo, violenza inclusa.
“Non chiamateli eroi” di N. Gratteri e A. Nicaso, racconta delle vittime innocenti di mafia: ci ha particolarmente colpito la figura di Santino Di Matteo.
Il nostro progetto
Ogni gruppo ha poi preparato una lezione in cui leggere brani significativi dei libri letti, spiegarne il contenuto e coinvolgere gli ascoltatori sollecitandone la partecipazione, secondo le indicazioni che ci sono state fornite nell’incontro di lettura ad alta voce con Panagiota Dimopolou, coordinatrice del circolo della LaAV di Genova.
Infine abbiamo esposto il lavoro che ha riscosso più successo a una classe del nostro liceo. Il libro prescelto è stato “Io dentro gli spari” che narra la vicenda di Santino, un ragazzino siciliano di circa nove anni che assiste all’omicidio del padre e del nonno da parte della mafia con cui erano entrati in contatto viste le difficoltà economiche. Proseguendo con la storia Santino sarà costretto a trasferirsi e a cambiare identità.
Grazie alle numerose testimonianze che abbiamo ricevuto in questi mesi abbiamo compreso il significato della giustizia e del valore della vita. Un concreto esempio sono stati i genitori di Dodó che, commossi e addolorati, hanno trasmesso un messaggio significativo a noi ragazzi guardandoci con la forte speranza di poter cambiare il futuro in meglio.
Il 12 Febbraio, il Liceo D’Oria di Genova ha celebrato il Darwin Day, già ospitato l’anno precedente, per ricordare la nascita dello scienziato e biologo Charles Darwin, che formulò la teoria dell’evoluzione della specie. I partecipanti, studenti e non solo, hanno avuto l’opportunità di esplorare la teoria darwiniana attraverso gli interventi di Domenico Saguato, del centro di documentazione ‘’Logos’’, docente e divulgatore scientifico, e di Silvano Fuso, del gruppo CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), docente e ricercatore scientifico: nello specifico, i due relatori hanno affrontato i temi dell’irrazionalità dell’uomo e del concetto di violenza e guerra nell’evoluzione della specie umana. Presente, per il corpo insegnanti del Liceo D’Oria, la professoressa Martina Savio, che ha introdotto la conferenza.
I relatori.
Il primo a intervenire è stato Saguato, che ha iniziato parlando dell’evoluzione dell’essere umano, analizzando la sua diversità rispetto agli scimpanzé: con il 99% di patrimonio genetico condiviso, ciò che ci rende umani va oltre la similitudine genetica. Ha fatto inoltre riferimento alla storia dell’uomo preistorico, partendo dall’analisi dell’uomo di Neanderthal, estinto 40,000 anni fa. Diverse prove suggeriscono rapporti intimi tra Neanderthal e l’essere umano, confermate dal DNA condiviso, ma non del tutto identico. Una delle sostanziali differenze tra lo scimpanzé, da cui ci siamo evoluti, e l’essere umano è l’approccio alla violenza: la capacità di gestire gli istinti violenti è sicuramente uno dei principali fattori che ha permesso di delineare le differenze tra ominidi e animali. L’evoluzione ha permesso a noi esseri umani di essere l’unica specie al mondo in grado di contenerla grazie allo sviluppo della corteccia prefrontale. Il relatore ha poi parlato della diversità che ogni essere umano presenta rispetto ai suoi simili e di come, anche in base al paese in cui si vive, si può distinguere un maggiore sforzo nel cercare di rafforzare le sinapsi presenti nella corteccia. Un esempio lampante è la differenza di tasso annuo di omicidi in due paesi diversi, che hanno valori, culture e leggi diverse l’uno dall’altro. In Giappone la percentuale di omicidi è dello 0,2% all’anno, mentre negli Stati Uniti raggiunge addirittura il 17,3% all’anno.
Il dibattito sulla nostra evoluzione continua, ma la tesi predominante è che ci siamo auto-addomesticati; un passo fondamentale per la nostra complessa organizzazione sociale. Tuttavia Saguato ha rilevato come prima della rivoluzione neolitica (quindi prima della scoperta dell’agricoltura) non ci siano state guerre, citando la teoria di Karl Marx secondo la quale tutte le guerre nascono dalla proprietà privata dei mezzi di produzione. La violenza umana può essere scaturita da diversi fattori: essendo un meccanismo biologico, da sentimenti come rabbia o paura (si tratta del caso della violenzareattiva). La violenza però non nasce sempre come offensiva; in determinati casi può essere usata come meccanismo di difesa, come metodo di sopravvivenza in situazioni in cui agire violentemente è l’unico modo per continuare a vivere. Al contrario, la violenza perpetrata per conquista alla ricerca di ampliare o mantenere le proprietà è puramente offensiva e ha come scopo quello di ferire la vittima. A questo proposito, durante la conferenza Saguato ha fatto riferimento alle guerre nel mondo antico, parlando di come sia in Grecia che nell’impero Romano uno degli scopi principali delle guerre fosse la conquista degli schiavi (un aspetto sottolineato in particolare dall’eminente storico Luciano Canfora in una recente monografia). Possiamo quindi dire che la guerra è l’espressione più cinica e distruttiva della violenza. Tuttavia, quest’ultima non sempre viene utilizzata al fine di danneggiare il prossimo.
I ragazzi durante la conferenza.
Continua Silvano Fuso, che focalizza l’attenzione sul contrasto alle pseudoscienze e alle “fake news” scientifiche. Sottolinea che la diffusione rapida delle false notizie è facilitata dalle caratteristiche del nostro cervello, spesso orientato emotivamente nelle decisioni. Noi crediamo che le nostre decisioni siano sempre il risultato di un ragionamento, ma in realtà, spesso, le cose stanno diversamente: citando il neuroscienziato Antonio Damasio, Fuso evidenzia che le nostre scelte, quando non sono consapevolmente orientate al senso critico, sono compiute per la maggior parte su base emotiva. Ciò porta a prendere per vere anche informazioni assolutamente false, le quali ci portano a rifiutare le teorie la cui validità è dimostrata, cosa che successe anche con le teorie di Darwin.
Silvano Fuso collega queste peculiarità cognitive alla resistenza a teorie come quella darwiniana, insistendo sul fatto che la razionalità richiede un processo graduale e faticoso per adattarsi al mondo complesso in cui viviamo oggi; paradossalmente, tuttavia, ciò nasce anche da una caratteristica evolutiva: nel cervello umano permangono meccanismi volti ad assicurare la sopravvivenza della specie attraverso il ricorso a decisioni rapide e non mediate dal ragionamento, utili per sfuggire a pericoli immediati (si tratta delle cosiddette euristiche). Egli continua il suo discorso facendo l’esempio delle illusioni ottiche, secondo cui a noi appare un’immagine diversa da quella reale, ed illustrando diverse altre euristiche e bias cognitivi, per esempio l’attribuzione di un fine a oggetti inanimati e dare per buono il primo dato offerto. Noi esseri umani siamo maggiormente predisposti a recepire le fake news, in quanto l’emotività e l’irrazionalità costituiscono un substrato nella nostra mente.
Dalla riflessione sulla nostra interpretazione storica a un’analisi dettagliata delle tracce del nostro passato, passando per i dati genetici e uno sguardo agli altri primati, così come alle forme più antiche di espressione e percezione della coscienza, i due ricercatori hanno commemorato il compleanno di Charles Darwin.
Nel contesto sempre più dinamico e interconnesso della società moderna, l’Intelligenza Artificiale emerge come una forza trainante di cambiamento e innovazione in diversi settori. Alla ricerca di un’esperienza educativa ed esplorativa, le classi 2B e 2D del liceo classico “D’Oria” di Genova hanno avuto il privilegio di partecipare a un viaggio straordinario nel mondo dell’IA presso il Meet Center di Milano.
Questo excursus, composto da due fasi similari ma differenti, ha offerto una panoramica avvincente e approfondita sulle potenzialità e le sfide legate all’Intelligenza Artificiale.
La prima parte di questo viaggio è stata contrassegnata da un incontro diretto con due esperte nel settore dell’AI che hanno dialogato con noi studenti sfidando la nostra preconoscenza sull’argomento fino a stimolare riflessioni su temi etici e sociali, come l’etica dell’IA e le implicazioni della sua adozione su larga scala. Successivamente, è stata proposta un’attività di riconoscimento dell’Intelligenza Artificiale, un test di Turing che ci ci richiedeva di distinguere tra immagini e testi generati da un’IA e quelli di origine umana. Questa esperienza pratica ha aperto le porte a un nuovo modo di comprendere il potenziale e le sfide dell’IA, evidenziando la sua capacità di generare contenuti sempre più realistici e convincenti.
La seconda parte del nostro viaggio ci ha condotti in una stanza incantata, dove le pareti stesse sembravano prendere vita attraverso un’installazione artistica straordinaria. Abbiamo ammirato la Renaissance Dreams, opera permanente al MEET, dell’artista turco-americano Refik Anadol.
In questa sala immersiva abbiamo assistito ad una forma di arte generata grazie all’intelligenza artificiale. Un insieme di dati costituito da immagini e testi, prodotti tra il 1300 e il 1600 in Italia, elaborato e rivisitato da algoritmi che mutano forme, colori e creano suoni originali. Le immagini cambiano dinamicamente, senza transizioni nette, ma piuttosto mescolando colori e forme per creare nuove e affascinanti espressioni artistiche. Questa installazione ha incarnato il concetto stesso di creatività unita all’intelligenza artificiale, mostrandoci come la tecnologia possa trasformare il nostro ambiente in qualcosa di magico e sorprendente, come normalmente accade di fronte alla bellezza di un’opera d’arte.
Approfondendo l’argomento dell’IA, è fondamentale riconoscere il suo impatto trasversale su tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana. Dalla medicina alla finanza, dall’arte alla ricerca scientifica, l’IA sta rivoluzionando il modo in cui concepiamo e interagiamo con il mondo che ci circonda. Tuttavia, è altrettanto essenziale affrontare le sfide etiche e sociali connesse all’adozione diffusa di questa tecnologia, garantendo che il progresso nell’IA avvenga in modo equo, responsabile e inclusivo.
In conclusione, l’esperienza al Meet Center di Milano è stata un viaggio illuminante e stimolante nell’universo dell’Intelligenza Artificiale. Ha offerto una prospettiva unica e approfondita sulle potenzialità e le sfide di questa tecnologia rivoluzionaria, invitandoci a riflettere sulle implicazioni del suo sviluppo e sulla nostra responsabilità nell’indirizzarne il futuro. Che siate appassionati di tecnologia o semplici curiosi, sappiate che questa esperienza ha lasciato un’impronta indelebile nelle nostre menti, offrendoci un punto di partenza prezioso per continuare il nostro viaggio nell’era dell’IA.
di Matteo Barcella, Chiara Capitanio, Greta Mumolo, 4B
“Enea è l’eroe pio, misericordioso, che si fa carico del passato e del futuro, che fugge da Troia in fiamme, col padre Anchise sulle spalle e il figlio Iulo […] l’eroe degli antenati e dei discendenti”
Viene evocato così il progenitore delle genti romane, da Aldo Cazzullo, giornalista del Corriere della Sera, conduttore diUna giornata particolaresu La7, ospite al Liceo Classico A. D’Oria per presentare lo spettacolo“Il duce delinquente”in scena al Teatro Modena di Genova.
Interrogato dalle domande degli studenti, raduna, come in un’enciclopedia, l’identità della nostra nazione.
“Non è nata dalla politica, dalla diplomazia, dalla guerra, ma è nata dall’arte, dalla bellezza, dalla cultura, dai versi di Dante, dagli affreschi di Giotto, dal Rinascimento. L’Italia è una nazione culturale” – afferma Cazzullo in un continuo riferimento ai veri fondamenti delle società del passato.
Si sofferma sulla pluralità delle personalità che hanno influenzato le scene del passato, da Virgilio, tanto amato dal Medioevo, che ha donato alla letteratura un nuovo modello di sentirsi italici, sino alle donne del “We can do it”, che come eroine ovidiane, hanno mantenuto salda l’economia durante la guerra.
È un viaggio di parole che attraversa anche le pagine nere del fascismo, ovvero quella mitomania che ha rinchiuso la penisola in una gabbia di ostilità e intolleranze, con a capo la criminalità, che lo spettacolo di Cazzullo ha sviscerato in una attenta introspezione dei vertici delle camicie nere.
Una continua contrapposizione fra “una Italia che fornisce molti mezzi per parlar male di lei”, che ancora soffre la disparità di genere, mentre allo stesso tempo ha partorito chi la rese fiera di essere nazione, sebbene il suo particolarismo territoriale e politico.
Qui giace Raffaello da lui, quando visse, la natura temette d’essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire – ricorda Cazzullo l’epitaffio della tomba di Raffaello, sita nel Pantheon, l’emblema dello spirito di integrazione dei romani, che avevano dedicato un tempio a tutte le divinità dell’impero, dal vecchio Giove al nuovo culto di Mitra.
Le sue parole si fanno copione la sera del 26 gennaio. Durante lo spettacolo messo in scena al Teatro Modena, tratto dal suo saggio “Mussolini il capobanda”, Aldo Cazzullo ripercorre gli anni bui del fascismo, accompagnando lo spettatore tra i meandri della mente di Mussolini, protagonista indiscusso di quest’epoca. Cazzullo dipinge un ritratto estremamente cruento del duce, non maschera l’orrore delle sue azioni ma da loro voce per rivendicare la memoria delle vittime innocenti del fascismo. Mussolini viene presentato sotto un’ottica diversa rispetto al consueto, non soltanto come politico intransigente, ma anche come uomo senza scrupoli, nella vita privata e nei confronti dei suoi affetti personali.
Moni Ovadia prende in prestito le voci dei protagonisti del ventennio con minuziose imitazioni, si fa narratore e cantore di invasori e oppressi, vincenti e sconfitti, carnefici e vittime. Ebraico, greco, russo, spagnolo, tedesco, un viaggio tra lingue di popoli diversi tra loro ma uniti dal sangue versato negli anni della Seconda Guerra Mondiale.
Parole e canti non si perdono nel silenzio, ma vengono sospinte dolcemente dalle note della poliedrica musicista Giovanna Famulari, tra suoni dolci e delicati quanto profondi e oscuri degli strumenti che maneggia con maestria: violoncello, tastiera, armonica. Due sole mani si destreggiano in una colonna sonora varia ed emozionante e come se sul palco la musicista non fosse soltanto una, più strumenti producono melodie all’unisono.
‘’Il duce delinquente’’ sarà mandato in onda su la7 la sera del 24 aprile in onore della festa della Liberazione, perché ancora troppo spesso qualcuno afferma che Mussolini ‘’ha fatto anche delle cose buone’’ e che il suo unico errore sia stato quello di entrare in guerra. Il fascismo è ancora oggi una ferita aperta del nostro paese, un’ombra che l’Italia continua a portarsi dietro, e, sebbene molti riconducano questo fenomeno esclusivamente al secolo scorso, in realtà le sue ripercussioni affiorano anche nel nostro presente, manifestandosi nella vita di tutti i giorni in maniera più o meno velata.
Il messaggio di Italo Calvino partigiano “Santiago” raccontato da Giordano Bruschi partigiano “Giotto” agli studenti del Liceo D’Oria.
a cura di Andrea Malusel e Filippo Montalto, classe 5G
“Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte stessa, saranno pezzetti di storia, e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla storia di domani, sulla storia di domani del genere umano.”
Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, 1947
Il 15 ottobre 2023 si è celebrato il centenario della nascita di Italo Calvino, non solo uno dei
più importanti letterati italiani del XX secolo, ma anche un giornalista, un politico, un partigiano. Un uomo eccezionale, ricordato con grande stima e affetto da coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo. Tra questi Giordano Bruschi, testimonianza vivente della Resistenza, ha incontrato le classi quinte del liceo D’Oria per raccontare il proprio rapporto con il celebre autore, da lui incontrato di persona grazie al suo comandante di reggimento partigiano.
Italo Calvino proveniva da una famiglia particolare: il padre, Mario, e la madre, Eva Mameli, furono tra i pionieri nello studio delle coltivazioni esotiche. Viaggiavano continuamente per studiare nuove colture, e Italo Calvino nacque all’Avana, nel sobborgo di Santiago de las Vegas, il 15 ottobre 1923. Proprio a queste origini “latine” è dovuta la scelta del nome da partigiano “Santiago”. Nel 1942, mentre frequentava la facoltà di agraria, Calvino venne a contatto con l’ambiente antifascista attraverso le celebri figure di Piero Calamandrei, autore di Uomini e città della Resistenza. Discorsi, scritti ed epigrafi, e Teresa Mattei, partigiana e donna di grande carisma.
A seguito dell’uccisione da parte dei fascisti del giovane medico comandante partigiano Felice Cascione, Calvino aderì alla Resistenza nel 1944, unendosi alla divisione d’assalto “Garibaldi”. All’esperienza nella Resistenza e alla “definizione” della memoria di quest’ultima Calvino dedicò in particolare il romanzo Il sentiero dei nidi di ragno (1947) e la raccolta di racconti Ultimo viene il corvo (1949), scritti giovanili che presentano già alcune delle peculiarità essenziali dello stile dell’autore e che rappresenteranno sempre per lo stesso Calvino punti imprescindibili della sua produzione.
Il canto Oltre il ponte, scritto nel 1959 e dedicato alla figlia Giovanna, racconta la Resistenza in versi, concentrandosi su quello che ne fu il più profondo motore, e il senso umano più alto: la speranza, prima di tutto dei giovani, che nella lotta vedevano la prospettiva futura di un mondo migliore, in cui avrebbe dominato l’amore, nel senso più ampio in cui il termine può essere inteso. La Resistenza diventa quindi una esperienza di maturazione, di consapevolezza, e il ponte da conquistare con le armi diventa il simbolo di tutto ciò che deve essere superato per portare l’umanità al suo riscatto.
“Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte che è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte”
All’alba della Liberazione, Calvino si pose una domanda cruciale: “Quello che abbiamo fatto resterà?” Chi, insomma, avrebbe tramandato i valori per cui tanti giovani avevano dato la vita? La risposta a questa domanda vive negli occhi di Giordano Bruschi, partigiano “Giotto”, così come negli occhi delle nuove generazioni che ricevono, dandole nuova vita, la testimonianza del miracolo di migliaia di giovani che, rischiando e perdendo la propria vita, fecero una scelta, consapevole e soprattutto libera, di lotta contro le ingiustizie della società in cui vivevano.
Le ragazze di 3C che hanno partecipato al progetto coordinato dal prof. Mele
Siamo un gruppo di sette studentesse della classe 3C, che ha aderito al progetto, proposto dal prof. Santino Mele (su suggerimento della dott. Giuseppina Ruscillo del personale amministrativo), relativo a una prima messa in ordine e valorizzazione dell’Archivio storico (d’ora in avanti: AS) del nostro Liceo.
La finalità del progetto, per questo anno scolastico, è la produzione di un articolo o breve saggio, con ampio corredo fotografico e documentale, relativo a un tema specifico: le leggi razziali del 1938 nella nostra scuola.
Abbiamo focalizzato l’attenzione sui documenti relativi a un periodo nevralgico della storia italiana, così come viene riflessa nella documentazione presente in AS: gli anni 1938-1940, ovvero agli anni in cui è entrata in vigore la legislazione razziale fascista e l’Italia è entrata nella seconda guerra mondiale.
Grazie a questo progetto abbiamo avuto l’occasione di visitare l’AS del nostro liceo per la prima volta; entrarvi ha suscitato in noi una grande curiosità di scoprire i contenuti di questi grandi e polverosi volumi. L’AS del liceo è uno spazio di 4×6 metri, all’interno del quale sono conservati enormi volumi rilegati di verbali e libri amministrativi (nonché registri e plichi del materiale degli esami di Stato degli ultimi vent’anni).
In particolare, ci ha stupito la presenza di volumi ottocenteschi, il più vecchio dei quali addirittura risalente al 1830-1831 (Figura 1), quando ancora la sede dell’istituto (fondato nel 1824) si trovava in stradone Sant’Agostino, nella zona di Sarzano sede ora della Facoltà di Architettura (prima di trasferirsi, nel 1937, nella sede attuale).
Figura 1: registro del 1830-’31
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La preparazione storica
Anzitutto, però, seguendo le indicazioni del professor Mele, ci siamo documentate relativamente al problema. Qui di seguito i dati più significativi, a partire da una testimonianza, che abbiamo trovato assai pertinente:
la carriera scolastica dei miei figli, al pari della mia di docente, fu bruscamente interrotta dalla legislazione fascista intesa ad escludere gli ebrei dal corpo della nazione italiana, riducendoli ad una casta di paria […] I ragazzi furono esclusi dalle scuole pubbliche, che avevano fino allora frequentate. Ricordo ancora il giorno in cui, dopo aver letto nel giornale, appena arrivato, la notizia di questa esclusione, Laura risaliva dal paese di Ponte di Legno verso la nostra casa, piangendo. Io ero, per caso, alla finestra e non dimenticherò mai la stretta al cuore che mi ha cagionato quella vista.
(testimonianza di Giorgio Mortara, in Annalisa Capristo, “Il decreto legge del 5 settembre 1938”, in La Rassegna Mensile di Israel, maggio-agosto 2007, Vol. 73, No. 2, Numero speciale in occasione del 70° anniversario dell’emanazione della legislazione antiebraica fascista, p.134)
Figura 2: Mussolini in piazza della Vittoria il 14 maggio 1938. Sullo sfondo il Liceo D’Oria.
Dopo la guerra d’Etiopia, la formazione di una «coscienza razziale» italiana si concretizzò, fra aprile 1937 e novembre 1938, nella legislazione razziale. Questi i passi principali:
14 luglio 1938: «Manifesto della razza», pubblicato in forma anonima da un gruppo di dieci «scienziati» sul Giornale d’Italia con il titolo “Il Fascismo e i problemi della razza”; il manifesto venne ripreso il 5 agosto 1938 con il titolo «Manifesto degli scienziati razzisti», nel «famigerato quindicinale» (R. De Felice) La difesa della razza (Figura 3), diretto da Telesio Interlandi (1894-1965), n.1, e qui firmato da dieci scienziati.
«Manifesto degli scienziati razzisti», in La difesa della razza, n.1
«La razza italiana ha nobiltà di volto, solidità e armonia di struttura corporea, potere di adattamento, visione chiara e immediata della realtà, spiccato senso etico»
«Le razze umane esistono»
«La razza è concetto puramente biologico»
«La popolazione dell’Italia attuale è di origine ariana» e «le migrazioni di popoli non hanno modificato la sua fisionomia attuale, che è quella millenaria»
«È tempo che gli italiani si proclamino apertamente razzisti»
«Gli ebrei non appartengono alla razza italiana»
«I caratteri puramente europei degli italiani non devono essere alterati»
Figura 3: copertina de La difesa della razza, diretta da Telesio Interlandi
18 agosto 1938: circolari Bottai (Ministro dell’Educazione nazionale), che vietano l’iscrizione nelle scuole medie degli studenti ebrei e il conferimento di incarichi di insegnamento a docenti ebrei.
Già la circolare del 9 agosto prescriveva il censimento del personale dipendente del Ministero dell’Educazione nazionale, mentre il 12 agosto Bottai aveva anticipato ai presidi che sarebbero stati banditi dalla scuola i libri di testo di autori ebrei (divieto esteso, nel RDL 1779/38, art.4, anche ai libri in collaborazione con autori «ariani»).
Gli studenti allontanati «per ragioni di politica generale» (vedi i documenti dell’AS, qui sotto in figura 5) avevano la sola opzione delle scuole private (ebraiche o cattoliche), sotto il controllo dell’ENIM (Ente nazionale insegnamento medio e superiore).
5 settembre 1938, Regio decreto legge n. 1390, «Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola italiana»: è il primo atto ufficiale di esclusione degli ebrei italiani dalla comunità nazionale.
Ai docenti e agli studenti classificati «di razza ebraica» viene interdetto l’accesso a scuole e università. «Sospesi» dal servizio (ma dal novembre «dispensati», cioè esclusi definitivamente) tutti gli insegnanti ebrei.
È rilevante che, in assenza di criteri generali di classificazione dell’ebraicità (definiti a novembre), il RDL 1390 prescindeva da motivi confessionali, per attenersi solo a motivi biologici: l’art.6 stabiliva che era ebreo chi fosse nato da genitori ebrei, anche se fosse stato battezzato e professasse la religione cattolica.
Bene sottolinea Annalisa Capristo: «Ad onta delle dichiarazioni propagandistiche circa la natura “spirituale” del razzismo fascista, ciò che contava era il dato “razziale”, il sangue» (“Il decreto legge del 5 settembre 1938” cit., p. 150).
7 settembre 1938, Regio decreto legge sugli ebrei stranieri: espulsione entro sei mesi e revoca della cittadinanza a chi l’avesse ottenuta dopo il 1919.
30 settembre 1938, Regio decreto che introduce le nuove cattedre universitarie di “razzismo”.
6 ottobre 1938: il Gran Consiglio promulga le «leggi razziali» (“Dichiarazione sulla razza”), che confermano l’esclusione degli ebrei dall’insegnamento pubblico (sia docenti sia studenti).
17 novembre 1938, RDL n. 1728, Provvedimenti per la difesa della razza italiana: divieto per tutte le amministrazioni e gli enti pubblici di avere dipendenti ebrei.
11 giugno 1939: Bottai invia un telegramma ai rettori disponendo «che nella sessione di esami sia osservata netta separazione studenti razza ariana da studenti razza ebraica et sia data precedenza gruppo studenti ariani negli esami orali», una disposizione che mirava ad accentuare la condizione di mortificante isolamento in cui si trovavano gli studenti ebrei.
12 giugno: lo stesso telegramma venne inviato ai Provveditori, affinché lo diramassero alle scuole, presso cui gli studenti ebrei potevano presentarsi come privatisti per sostenere gli esami e conseguire i titoli di studio.
6 novembre 1939: stabilita l’obbligatoria stampigliatura «di razza ebraica» su tutti i certificati rilasciati dalle scuole agli studenti ebrei.
Figura 4: copertina del Giornale di Genova – Caffaro
L’espulsione e l’esclusione futura degli ebrei dalla scuola doveva avere come risultato l’«arianizzazione totalitaria» (Bottai) del mondo della scuola e dell’università, nel quadro della creazione di una nuova coscienza razziale-nazionale (che necessitava di «inoculare l’antisemitismo nel sangue degli italiani»: Mussolini), propria dello homo novus fascista.
Gli insegnanti espulsi dalla scuola media, compresi i presidi, furono 279, di cui 173 dalle superiori. Gli studenti espulsi furono circa 9000: 2500 circa nelle elementari, 4000 nelle medie inferiori e superiori, 2000 circa nell’Università (a questi numeri vanno aggiunti i ragazzi stranieri).
Alla fine del 1938, l’Italia era uno Stato ufficialmente razzista e antisemita, senza che questa trasformazione, promossa dal fascismo e controfirmata dalla Corona, incontrasse alcuna reazione significativa.
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Il lavoro fatto in Archivio
Sulla base di questa documentazione preparatoria, abbiamo poi condotto il lavoro d’archivio.
In AS sono presenti documenti scolastici di tipo differente: registri di protocollo; verbali di scrutini; verbali relativi a collegi (o “adunate”) dei docenti; verbali relativi alle tasse pagate; materiale vario. Quelli che si sono rivelati più interessanti, sono i volumi che riportano le iscrizioni, ma anche i trasferimenti degli alunni.
Ai fini del nostro discorso, la dicitura burocratica decisiva si è rivelata la seguente: “concesso nulla osta per motivi di politica generale”. Si tratta di una formula eufemistica, per intendere l’espulsione dalla scuola per motivi razziali.
Figura 5: “concesso nulla osta per motivi di politica generale”
Spunti per la continuazione del progetto:
Nella prima parte di questa relazione abbiamo esposto gli esiti della nostra ricerca che tuttavia ha preso in esame solo una parte dei documenti presenti nell’A.S. del nostro Liceo. Sulla base di quanto abbiamo trovato, pensiamo che l’anno prossimo l’indagine potrebbe essere ulteriormente sviluppata, cercando di trovare risposte alle seguenti domande, intese come ipotesi di ricerca:
noi ci siamo occupate esclusivamente degli studenti e non abbiamo fatto indagini sul corpo docente. C’è stato un censimento dei dipendenti nell’agosto 1938: risulta che ci fossero nel nostro Liceo docenti ebrei? Nel caso, quali misure sono state adottate nei loro confronti?
Tra gli eventuali docenti ebrei, risulta che qualcuno abbia chiesto di essere «discriminato», vale a dire esentato per speciali meriti dai provvedimenti antiebraici?
Qual è stato l’atteggiamento ufficiale dei presidi nei confronti di eventuali docenti ebrei? Hanno incoraggiato o attenuato l’applicazione delle leggi razziali?
Tornando agli studenti, ci sono documenti come pagelle, diplomi, ecc. in cui risulti ufficialmente l’identificazione di persone di «razza ebraica»?
A queste domande cercheremo di dare risposta l’anno prossimo, continuando questo progetto.
Francesca Barbé, Anna Chiara Cacciamani, Cecilia Farinelli, Gaia Massa, Lavinia Pasteur, Martina Tenderini, Biancamaria Tinella.
Giovani e tumori: argomento tabù o motivo di sensibilizzazione? Ce ne parla il Dott. Alberto Castellani
Di Vittoria Gandolfo, 3B
Martina, 1975-2003 a cui quest’iniziativa deve il suo nome.
Giovedì 18 gennaio, per la durata di due moduli, nell’aula magna del Liceo Andrea D’Oria si è tenuta una conferenza, presieduta dal Dott. Alberto Castellani, riguardante la prevenzione ai tumori e, in particolar modo, la loro diffusione tra i giovani.
Le classi terze del liceo D’Oria hanno avuto l’opportunità di partecipare a quest’interessante, e soprattutto utile, incontro grazie all’iniziativa del Progetto Martina.
Questo progetto, validato dal Ministero della Salute, nasce su iniziativa del Dott. Di Maggio, uno dei medici che aveva in cura Martina a Padova.
Non era una ragazza normale.
Solare in tutti i sensi.
Piena di iniziative.
Aveva tanta voglia di vivere, di fare.
Così viene descritta Martina: non come “qualcuno che aveva un tumore”, non solo come un numero che viene inserito in statistiche o grafici dall’aspetto spaventoso.
Il Progetto Martina, promosso dal “Lions Club Genova Diamante”, deve il suo nome a una giovane donna di Padova deceduta a causa di un tumore alla mammella, diagnosticato all’età di 28 anni. Martina, al medico che l’aveva in cura, diceva: “Io sentivo da un po’ un piccolo nodulo, ma era piccolo, non mi faceva male e non ci ho dato peso”.
Questo, dice il dottore, ci porta a un primo insegnamento: il nostro corpo ci manda dei segnali, che anche se piccoli e non drammatici devono essere ascoltati.
Spiegate ai giovani l’importanza di alcuni piccoli disturbi perché non finiscano come me.
Queste, ancora una volta, le parole di Martina: “perché non finiscano come me“. Parole strazianti e al tempo stesso piene di consapevolezza. Perché la verità è che noi giovani ci sentiamo invincibili, forse com’è giusto che sia, non riusciamo a concepire l’esistenza di un qualcosa che spazzi via tutto quello in cui crediamo, tutto il nostro futuro, tutto quello che ci sembra importantissimo: e forse è giusto così, forse è giusto che esista un periodo della vita di ognuno nel quale nessuna preoccupazione può scalfirci, nel quale ci sentiamo sul tetto del mondo. Nella vita di Martina, questo qualcosa era un tumore alla mammella.
Ecco perché è giusto e necessario fare prevenzione ai tumori anche e soprattutto tra i giovani, nonostante la loro non sia certamente la fascia d’età più soggetta a questo problema.
Di Maggio aggiunge che il Progetto Martina non porta il nome di questa ragazza a causa della malattia che l’ha colpita, ma a causa della frase che ha detto: non ricordiamo Martina per quello che le è accaduto, ma per quello che lei ha fatto, per l’eredità che ha lasciato a tutti noi.
Il Dott. Castellani ha iniziato il suo intervento spiegandoci cos’è un tumore e come nasce: è il DNA a conservare il programma genetico delle nostre cellule. Se qualcosa “colpisce” il DNA di una cellula, essa perde il suo patrimonio genetico e di conseguenza “non si ricorda più” ciò che doveva fare: nel tempo tutte le cellule figlie da essa generate avranno questa particolare condizione. Un tumore infatti è proprio un insieme di cellule il cui DNA è stato alterato.
Ad oggi la medicina e la ricerca scientifica hanno fatto molti progressi, e sono stati scoperti molti metodi per provare a prevenire la formazione dei tumori, anche se naturalmente non si potrà mai avere una certezza matematica.
Castellani ci ha dunque parlato di dodici abitudini che, secondo il Codice europeo contro il cancro, possono aiutare a prevenire i tumori: si tratta di non fumare, rendere la propria casa libera dal fumo, mantenere un peso forma salutare, fare attività fisica giornalmente, seguire una dieta sana, non bere o limitare il consumo di alcol, limitare il contatto con il sole, per esempio usando crema solare e non usando lampade abbronzanti, proteggersi da sostanze cancerogene, ridurre i livelli di radon naturale nella tua abitazione, allattare al seno, le vaccinazioni, anche e soprattutto sui bambini, e partecipare ai programmi di screening.
Al giorno d’oggi si conosce un solo virus che provoca sicuramente tumori: il papilloma. Infatti il Prof. Castellani ci ha informati del fatto che i tumori spesso possono essere causati da fattori ambientali (come l’aria inquinata e i posti di lavoro pericolosi, ad esempio a causa dell’amianto che una volta era molto diffuso, non si sapeva infatti che fosse così dannoso), stili di vita scorretti (come ad esempio il fumo e l’alcol, che possono portare a un tumore al pancreas, l’abuso di droghe e farmaci non su prescrizione medica, e un’alimentazione scorretta).
Il grafico proposto dal dottore riguardante la curabilitá dei tumori nel tempo.
Il Professore successivamente ci ha mostrato un grafico che mostrava la variazione della sopravvivenza relativa nel corso degli anni di persone affette da tumori: gli unici tumori il cui tasso di sopravvivenza è restato invariato dal 1971 ad oggi sono quelli che interessano i polmoni, il pancreas e l’esofago.
Il Dott. Castellani inoltre ci ha parlato anche di altri due tumori molto diffusi: il tumore alla mammella e al testicolo.
Per quanto riguarda il tumore alla mammella, uno dei più diffusi, ci ha fatto notare, tra le molte cose, che non si manifesta solo nelle donne, ma anche negli uomini, seppure in questi ultimi sia meno diffuso.
Ci ha fatto notare che si possono effettuare alcuni accorgimenti per riuscire a prenderlo in tempo: innanzitutto è importante sapere che la mammografia è consigliata solo dopo i 30/40 anni, dal momento che è molto raro che questo tumore si manifesti precedentemente. Dopo i 50 anni ci si dovrebbe sottoporre a un controllo di questo tipo ogni due anni. Tuttavia anche le donne più giovani dovrebbero, a cadenza mensile, effettuare un’auto-palpazione. Essa dovrebbe essere effettuata dopo il termine del ciclo mestruale.
Il Professore ha spiegato infatti che, in caso si percepisca qualcosa di diverso, è consigliato andare a farsi visitare da un medico, per assicurarsi che sia tutto nella norma.
Per quanto riguarda il tumore ai testicoli, invece, agli uomini è consigliato effettuare un’auto-palpazione ogni tre o quattro mesi, possibilmente dopo una doccia o un bagno caldo: l’auto-palpazione per prevenire il tumore al testicolo si effettua così.
Al termine di ciò il Dott. Castellani ha proposto a tutti gli alunni presenti un questionario, effettuato sul sito del progetto, riguardante l’incontro appena avvenuto.
Alcuni risultati degli incontri negli anni scolastici 1999-2000 e 2010-2011.
Sembra difficile, quasi impossibile, pensare che qualcosa come un tumore possa colpire noi o le persone a noi care, ma non è così: tuttavia non si può essere passivi, bisogna anzi attivarsi per informarsi su come si possono prevenire.
Se ne deduce quindi che i tumori non possono, e non devono, essere argomenti tabù dei quali non parlare: è importante invece diffondere consapevolezza e insegnare come comportarsi a riguardo, soprattutto ai giovani.
Ogni sera migliaia di liguri accendono la televisione sul canale RAI3 per rimanere informati su quello che accade nella loro regione. Un susseguirsi di servizi perfetti vengono trasmessi ogni giorno, ma cosa c’è dietro a quei soli 20 minuti di notizie? La classe 2D del Liceo D’Oria ha partecipato a “RAI Porte Aperte” proprio per scoprirlo.
di Giorgia Belotti, Giulia Masullo, Stefano Ribaldone, Elisa Rizzo e Lidia Rossi, 2D
Il giornale che ha informato generazioni
Il concetto di giornale regionale nasce negli anni ’50 con i gazzettini radiofonici introdotti dall’EIAR . I primi furono il Gazzettino di Roma e del Lazio e il Gazzettino Padano, l’unico ancora attivo. In seguito furono istituiti per le altre regioni. Poi, con la riforma della RAI nel ’75, cominciarono le trasmissioni di Rai3, e quindi del TG3 regione.
Inizialmente la sede dalla RAI di Genova si trovava in Via San Luca. In seguito, dopo la seconda guerra mondiale, si spostò in Piazza della Vittoria fino al 1966, data nella quale fu trasferita nel luogo attuale, Corso Europa.
Ore di lavoro per pochi minuti di servizio
Appena entrati nella sede la cosa che stupisce è la quantità di persone che lavorano per questo servizio.
La prima attività in cui si viene coinvolti è un tour della sede, dove si possono conoscere i diversi ruoli all’interno del giornale-radio e del tele-giornale. Tutti hanno un ruolo specializzato, e, nonostante il grande numero di dipendenti, regna nell’edificio una perfetta coordinazione e collaborazione.
Infatti non pensiate che i servizi in diretta presentino dell’improvvisazione, il lavoro è metodico e organizzato, nulla è lasciato al caso: dai tecnici del suono, al regista che coordina le camere, dai cameraman che le gestiscono ai copywriter e agli annunciatori, tutti sanno cosa fare, quando farlo e come farlo al meglio.
Due studenti nella postazione radiofonica della redazione RAI con il giornalista Oscar Puntel.
Successivamente si svolge una simulazione riguardante il telegiornale. Questo è il momento in cui è possibile provare per una mattinata tutti i ruoli sopra citati e comprendere meglio cosa davvero ci sia dietro ai servizi che ogni sera guardiamo in tv o che all’ora di pranzo ascoltiamo in automobile.
Due studentesse sul set del TGR Liguria durante la simulazione di un servizio.
Da dove prende le notizie chi le dà?
Basta accendere la televisione per rimanere aggiornati, ma il telegiornale utilizza mezzi molto più complessi e veloci. Alcuni di essi sono canali diretti, come gli inviati sul luogo, che, ricevute segnalazioni, si spostano direttamente sul territorio, per raccogliere fonti visive e dichiarazioni. Altri canali, come il collegamento con le forze dell’ordine o le sedi istituzionali, sottolineano la grande importanza che il telegiornale ha a livello regionale e non solo. Al cittadino non resta che accendere la radio o il televisore e se ha perso qualche edizione può sempre recuperarla nel sito del TGR Liguria o riascoltarla su RaiPlaySound.
Qui una sintesi video della nostra esperienza:
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Video sintesi dell’intervista al giornalista Gad Lerner che il 1 dicembre 2023 è intervenuto nell’Aula Magna del Liceo D’Oria per presentare il suo spettacolo “Il sogno di Gramsci” che ha portato in scena con Silvia Truzzi al Teatro Modena di Genova…