“Scrivo di ciò che mi fa arrabbiare”

Incontro al Book Pride con Simone Biundo, poeta contemporaneo

di Stella Medusei e Carolina Vassallo, 2B 

Il Book Pride è un evento organizzato con lo scopo di dare visibilità a piccoli e medi editori e stimolare i lettori attraverso incontri con scrittori contemporanei.

Tra le tante iniziative proposte dal Book Pride genovese, due classi del liceo D’Oria hanno approfittato, il 3 ottobre scorso, della possibilità di incontrare un poeta contemporaneo, Simone Biundo, e di  partecipare  alla presentazione del suo nuovo libro, intitolato “Così”. A introdurre e moderare l’incontro è stata Ilaria Crotti, dell’Associazione culturale FalsoDemetrio. 

La 2B e la 2D al Book Pride

Simone Biundo, nato a Genova nel 1990, oltre a essere un poeta, insegna lettere alle medie, si occupa di editing e di comunicazione in ambito letterario e artistico. E’ un poeta “vivo”,  come dice scherzando, per introdurre l’incontro, un poeta in carne ed ossa, diversamente da tutti i poeti che si studiano a scuola.  Il poeta vivo, però, di poesia non vive – aggiunge ironico – con un gioco di parole.  E’ un poeta giovane e irriverente.

Il poemetto “Così” è un testo che affronta temi che, secondo Biundo, provocano rabbia. Tra questi la maggior parte sono argomenti attuali: l’impressione del tempo che fugge e divora tutto ciò che ci sta più a cuore, l’indifferenza che proviamo verso guerre che non toccano il nostro Paese, anche se causano sofferenza e morte, lo stress con il quale affrontiamo quotidianamente la vita.

La vita – sostiene Biundo –  è priva di senso se non siamo noi stessi a conferirglielo, ecco perché  dobbiamo crearci un’idea di ciò che succede intorno a noi. Dobbiamo essere consapevoli e non farci catturare dalla “cancellazione”, non fare finta che le cose che ci disturbano o sono ingiuste non esistano. Siamo bombardati dalle immagini, da parole vuote. La poesia invece sceglie e pondera la parola.

L’incontro con Simone Biundo e Ilaria Crotti dell’Associazione culturale FalsoDemetrio

La poesia naturalmente  non vende o vende pochissimo, non ha una utilità pratica, ma – come quasi tutto quello che “non serve” è ciò che è più importante per vivere. La sua poesia non è poesia lirica, l’espressione di un sentimento interiore, ma piuttosto l’espressione di un disagio della civiltà.

Per realizzare “Così”, come per ogni opera, il poeta si è imposto delle regole: bisogna darsi dei limiti.  In questo caso l’uso di un ritmo caratterizzato da pause, versi endecasillabi, la scelta del non utilizzare aggettivi e di inserire il turpiloquio per avere un riscontro inatteso e, infine, l’adozione di tempi lunghi. All’interno del poemetto  tutti i  verbi sono stati usati al tempo presente per esprimere la contrazione del tempo: il poeta non vuole rievocare il passato e non ha alcuna idea su ciò che avverrà. Il titolo è stato scelto in base al significato della parola “così”, apparentemente una parola vuota, ma continuamente ricorrente, che può indicare qualcosa di doveroso (E’ così!), ma anche, come congiunzione conclusiva, la fine di un discorso.

Dall’Orestea ai Mannon: ritratto della violenza familiare

La prima nazionale dello spettacolo “Il lutto si addice ad Elettra”

di Alexandra Delrio, Giulia Portalupi, Bianca Stefanelli, Federica Tanca e Chiara Torazza, 3B

La prima nazionale dello spettacolo Il lutto si addice ad Elettra’ di Eugene O’Neill, con la regia di David Livermore, propone un racconto che racchiude in sé temi come il complesso di Edipo e la riflessione sull’inevitabilità del destino, rievocando le stesse emozioni che muovevano gli eroi antichi.

Non possiamo definire questo spettacolo un adattamento del mito nel senso stretto del termine: scenografia, ambientazione temporale e sottotrame sono state completamente rielaborate, al punto da trasformare la tragedia classica in una vicenda parallela, ambientata in un contesto moderno, ma carico dello stesso πάθος dell’antichità.Colpisce come il mito si rifletta in questa nuova narrazione, capace di fondere l’antico pensiero classico con le dinamiche della società moderna.

Trama Il racconto è incentrato sul tradimento di Christine Mannon nei confronti di Ezra Mannon, che muore assassinato dalla sua stessa moglie.

Lavinia, figlia di Christine ed Ezra, e la madre hanno sempre avuto un rapporto conflittuale dovuto principalmente a due ragioni: il complesso di Elettra da cui è affetta Lavinia e la repulsione che Christine prova nei confronti del marito Ezra. Lavinia è invidiosa della madre e non sopporta di vederla tradire il padre con il capitano Adam Brant, il quale finge di essere innamorato della figlia per rendere la relazione tra i due ancora più insospettabile.

Christine, innamorata di Ezra da giovane, comincia a provare ripugnanza per lui dopo il matrimonio e i gesti che il marito considerava affettuosi vengono percepiti da lei come oppressivi, in alcuni casi perfino violenti. Lei detesta Lavinia poiché la vede soltanto come frutto di una violenza. Predilige invece il fratello Orin, nato in assenza di Ezra, il quale ha un rapporto morboso con la madre, tanto da anteporre i suoi desideri alla propria felicità in molte situazioni. Orin, ignaro di quello che sta accadendo nella sua famiglia, non ascolta Lavinia, nonostante i suoi continui avvertimenti su chi fosse realmente sua madre, completamente soggiogato dalle parole manipolatorie di Christine, disposta a tutto pur di fargli credere che la sorella stia mentendo e proteggere la sua relazione segreta con Adam Brant.

Rappresentazione teatrale O’Neill illustra l’influenza di queste dinamiche familiari opprimenti sulle relazioni amorose dei due fratelli Mannon: Lavinia si rifiuta di sposare Peter, innamorato di lei da molto tempo, e Orin considera fondamentale l’opinione di sua madre su Hazel, giovane follemente innamorata di lui.

Questi due personaggi, che rappresentano il coro, sembrano essere gli unici a riconoscere il malsano rapporto tra i membri della famiglia. Infatti i figli dei Mannon, in particolar modo Lavinia, diventano sempre più come i genitori. Il regista David Livermore rappresenta scenograficamente questa trasformazione: alla morte di Christine, Lavinia indossa un vestito quasi identico a quello della madre e Orin manifesta gli stessi desideri di avventura e, in parte, di libertà del padre. In uno dei momenti di crollo di Orin, Lavinia prova a calmarlo ricordandogli la natura malvagia della madre ma il fratello sembra stare per rivelare tutto alla fidanzata Hazel: scatta tra i due un bacio, metafora che racchiude tutta la disperazione e la rabbia dei personaggi. In quel momento sembra essere presente tutta la famiglia Mannon sul palco ed è sicuramente una delle scene più intense di tutta l’opera. Ripensando all’accaduto, Orin scrive tutta la storia dei Mannon con lo scopo di pubblicarla e rendere nota la colpevolezza della sorella. Inizialmente affida la storia a Hazel Niles, ma Lavinia, rimasta sola, si appropria del fascicolo, ritrovandosi schiacciata dal peso della maledizione familiare e decidendo di rinchiudersi nella casa dei Mannon per il resto dei suoi giorni, accettando il lutto come un destino inevitabile.

La psiche dei protagonisti è stata notevolmente approfondita rispetto all’Orestea: nei personaggi creati da O’Neill è presente una complessità psicologica strutturata. E’ stato interessante trovare le corrispondenze tra i componenti della famiglia Mannon e i personaggi eschilei. Lavinia, la figlia prediletta del padre e la più grande rivale della madre, è ispirata ad Elettra, mentre Orin riprende la figura di Oreste, Ezra Mannon quella di Agamennone, Christine quella di Clitemnestra e il capitano Brant quella di Egisto.

Attori e recitazione I due ruoli principali, Christine ed Ezra Mannon, sono interpretati rispettivamente da Elisabetta Pozzi e Paolo Pierobon. Entrambi hanno recitato in maniera avvincente, coinvolgendo tutto il pubblico sia con le parole che con i gesti. La figura di Christine è forse quella che rimane più impressa, proprio perché non offre spiegazioni facili: si muove tra desiderio, colpa e solitudine senza mai risultare del tutto trasparente. La sua lotta interiore tra dolore, rabbia e desiderio di libertà la rende un personaggio complicato e indimenticabile.

Paolo Pierobon offre un’interpretazione di grande potenza drammatica quando, in punto di morte, indica Christine come sua assassina. La recitazione migliore è stata senza alcun dubbio quella di Linda Gennari, nel ruolo di Lavinia, il cuore tormentato della tragedia: a fine spettacolo ha interpretato in modo eccellente la trasformazione della protagonista nella persona che più odiava, sua madre, imitando in modo quasi perfetto i gesti e persino la risata del personaggio di Elisabetta Pozzi.

La recitazione meno autentica è stata quella di Marco Foschi nel ruolo di Orin, appena tornato dalla guerra. L’attore ha recitato il ruolo di Oreste con molta foga, ma poca espressività, spesso in modo troppo dinamico e con toni che sembravano inadeguati al contesto.

“Il lutto si addice a Elettra” presenta un’atmosfera tesa che si respira dall’inizio alla fine. Non si può non restarne coinvolti: gli attori non si limitano ad interpretare una tragedia, la vivono. I personaggi non sono mai semplici da comprendere, non si lasciano classificare come “giusti” o “sbagliati”: ognuno porta con sé un peso di cui non riesce a liberarsi e proprio questa complessità li rende realistici. Anche quando vengono urlati, il dolore, il rancore e le dinamiche familiari non trovano mai davvero sfogo: restano irrisolti, come se nessuna voce fosse abbastanza forte da liberarli davvero.

Quest’opera diventa quindi un ponte tra due mondi, quello classico e quello contemporaneo, perché certi conflitti, quelli che interessano le relazioni più intime, possono essere comuni a tutti.Il lutto, in questo caso, non è solo perdita, ma una trasformazione per chi lo affronta, che può addirittura cambiare una persona radicalmente. “Il lutto si addice ad Elettra” è uno spettacolo che fa riflettere anche dopo che il sipario è stato calato.

A Journey into the History of Genoa

Quest’articolo riassume ciò che quest’anno la nostra professoressa di inglese ci ha proposto:
una nuova e stimolante attività dove abbiamo preparato delle presentazioni su Genova, sul nostro stile di vita e sulla nostra scuola.
In questo modo abbiamo imparato molte nuove cose sulla nostra città, oltre a utilizzare nuove applicazioni e a collaborare in gruppo. Nel complesso toccare queste tematiche è stata una splendida esperienza che consigliamo a tutte le altre classi.

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Centauri,  robot volanti, telechirurgia … il  futuro è già qui, all’IIT

La 2B all’Istituto Italiano di Tecnologia

di Camilla Carratù, Elena Giannelli, Maria Giovanna Lauria, Luca Mangini, Lorenzo Moretti,  Eleonora Malatesta, Alice Moscatelli, Matilde Pedroncini, Bianca Stefanelli ed Emma Zini, 2B

L’ IIT (Istituto italiano  di tecnologia) è un centro di ricerca scientifica di eccellenza, riferimento internazionale per la ricerca ad alto contenuto tecnologico, con sede a Genova.  Si distingue per il suo approccio multidisciplinare e internazionale, operando in campi come robotica e intelligenza artificiale, nanotecnologie e materiali intelligenti, scienze della vita e neuroscienze, tecnologie per la sostenibilità ambientale e l’energia. In occasione dell’Open Day rivolto alle scuole, abbiamo visitato il Centro genovese dedicato alla Robotica. Il CRIS (Center for Robotics and Intelligent Systems) di San Quirico ospita laboratori e strutture all’avanguardia. Vi lavorano scienziati e ricercatori provenienti da tutto il mondo, che per un giorno si mettono a disposizione dei visitatori, illustrando e – talvolta – facendo toccare con mano i risultati del loro lavoro.

Nel laboratorio HHCM – Humanoids and Human Centered Mecathronics (Umanoidi e meccatronica centrata sull’uomo): vengono costruiti robot umanoidi, perciò con capacità motorie simili a quelle umane. Il processo di realizzazione inizia dall’acquisto dei materiali che compongono il singolo motore,  poi il robot viene ultimato con l’aggiunta di altri elementi per costruire le diverse parti del “corpo” come gli arti e il busto; infine il robot viene programmato grazie ad algoritmi di ottimizzazione per insegnargli a muoversi autonomamente.

Il primo robot con cui abbiamo fatto conoscenza si chiama Centauro. Ha una base a quattro zampe e un busto antropomorfo, perciò mantiene le medesime caratteristiche di un mitico centauro.

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E’ progettato per aiutare i soccorritori umani in scenari di disastro, perché è abile nella “manipolazione” del terreno accidentato. Muovendosi su ruote, cioè su supporti facilmente reperibili sul mercato, risulta più conveniente rispetto a un umanoide che può spostarsi solo con il movimento degli arti inferiori e quindi che necessita di piedi artificiali molto costosi di circa 450 grammi l’uno.

Ciò non significa che Centauro non possa camminare, anzi, è dotato di articolazioni inferiori che gli permettono di muoversi come un quadrupede. Il bilanciamento e il perfezionamento delle giusta traiettoria sono molto importanti per permettere al robot di compiere azioni autonomamente come un umano. Un operatore umano deve controllare il robot a distanza.

 Il suo scopo è quello di innovare e dare supporto all’attività edile e di sostituire gli esseri umani nei compiti troppo pericolosi e gravosi o nocivi per la salute. Grazie alla forza delle sue articolazioni superiori è anche in grado di distruggere ostacoli.

Ci è stato anche mostrato il robot del progetto Concert, un robot modulare utilizzabile per aiutare gli operai nei cantieri,  capace di eseguire quattro azioni fondamentali: usare il trapano, carteggiare un muro, trasportare dei carichi pesanti in modo collaborativo e applicare vernici o prodotti nocivi per gli uomini sulle pareti. Grazie alla sua struttura ergonomica, può collocarsi in posizioni che per gli uomini possono essere difficili e faticose, e può raggiungere grandi altezze. Può rispondere a comandi vocali ed è sensibile a stimoli esterni.

Il laboratorio HUMAN-ROBOT INTERFACES AND INTERACTION (Interfacce e interazione uomo-robot) si occupa invece della ricerca tecnologica nell’ambito dell’assistenza ospedaliera e degli ambienti di lavoro. Qui la ricerca si concentra sulle possibilità di diminuire lo sforzo umano e rendere i robot  autonomi e collaborativi.

MOCA

Durante la visita guidata ci è stato mostrato uno dei nuovi robot realizzati dall’IIT chiamato MOCA, (acronimo di Mobile Collaborative Robotic Assistant.) Come dice il nome, si tratta di un assistente che può essere utilizzato per diversi scopi, tra cui lo svolgimento di lavori pesanti, faticosi per l’uomo, o di compiti di precisione.

 

 

Permette a chi la utilizza di non sentire il peso di un carico che dovrebbe essere sollevato con la sola forza fisica.  Grazie alla base mobile con quattro ruote, in grado di spostarsi in tutte le direzioni, al braccio robotico e alla mano artificiale, può essere utilizzato per sostituire l’uomo nel trasporto di carichi pesanti e  garantire un’esecuzione più sicura di compiti svolti in luoghi difficilmente raggiungibili. 

 

Applicazioni della mappatura 3D e dell’intelligenza artificiale

Un’altra tecnologia innovativa presentata durante la visita è stata quella della mappatura 3D degli spazi tramite speciali telecamere tridimensionali. Questo sistema consente di ricostruire in tempo reale l’ambiente circostante con estrema precisione, offrendo moltissime applicazioni pratiche. In ambito sportivo, ad esempio, permette di analizzare i movimenti degli atleti per ottimizzare le prestazioni e prevenire infortuni. Nel settore industriale, può essere utilizzato per il monitoraggio dei gesti ripetitivi dei lavoratori, contribuendo a ridurre il rischio di patologie. Anche in campo sanitario, la mappatura 3D può essere impiegata per osservare la postura e il carico articolare dei pazienti durante la riabilitazione, aiutando a prevenire il sovraccarico delle articolazioni e migliorando i percorsi terapeutici.

Durante la nostra visita, abbiamo avuto l’opportunità di sperimentare direttamente questa tecnologia: ci siamo posizionati in modo tale che tutte le telecamere riuscissero a vederci e abbiamo potuto vedere riprodotti i nostri movimenti in tempo reale su uno schermo. Il sistema riconosceva la posizione del corpo e dei singoli arti, mostrando come ogni gesto venisse tradotto in una rappresentazione digitale.

AMI e laboratorio di robotica per scopi medici

In ultimo, due gruppi di studenti hanno visto due laboratori differenti: i primi sono stati accompagnati al laboratorio AMI (Artificial Mechanical Intelligence), che si occupa di combinare l’intelligenza artificiale con la meccanica

 per inventare e controllare robot umanoidi col compito di interagire con gli esseri umani al meglio. 

Ci hanno presentato tre loro progetti:

  • Ergocub, sviluppato con il supporto dell’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) è un robot umanoide che in futuro potrebbe diventare un collega robot per i lavoratori aiutandoli nei loro sforzi quotidiani e monitorando stress e cattiva postura per prevenire le cosiddette malattie professionali,
  • Ironcub è un robot progettato per volare tramite propulsori jet. Diventerebbe così il primo robot umanoide della storia in grado di volare, con impieghi ad esempio nelle missioni di soccorso in luoghi impervi ed isolati.
  • iFeel, una tuta “smart” munita di sensori che possono monitorare oltre che ai parametrivitali del lavoratore anche stress e cattiva postura, per andare di nuovo a prevenire lo svilupparsi di malattie professionali. Inoltre, mediante un paio di scarpe anch’ esse munite di sensore, si può monitorare ancora meglio la salute dell’ operaio andando ad osservare come appoggia i piedi e come cammina. Anche questo progetto è sviluppato insieme all’ INAIL.

Robotica applicata alla medicina

L’altro gruppo ha visitato un laboratorio in cui i robot venivano utilizzati per aiutare i medici e chirurghi nelle operazioni complesse. Il robot permette di compiere l’operazione nel modo più sicuro e preciso possibile per evitare errori che potrebbero nuocere alla salute del paziente. Uno dei tre robot permette al medico di avere una visione 3D degli organi interni del paziente, consentendo al chirurgo di avere una visuale più chiara della zona in cui deve lavorare. Inoltre è stata inventata una penna laser che agevola la rimozione di tumori. Con essa il medico incide i movimenti che deve fare all’interno del corpo del paziente su un tablet che consente di fare movimenti meno tremolanti e netti. In ultimo è stata sviluppata una tecnica di chirurgia robotica a distanza.

di Camilla Carratù, Elena Giannelli, Maria Giovanna Lauria, Luca Mangini, Lorenzo Moretti,  Eleonora Malatesta, Alice Moscatelli, Matilde Pedroncini, Bianca Stefanelli ed Emma Zini, 2B

Samuele Cornalba racconta ”Bagai”: un incontro tra realtà e immaginazione

di Gilda Agosti, Elena Giannelli, Matias Di Giacomo, Eleonora Malatesta, Federico Pellegrini e Chiara Torazza, 2B

Grazie al progetto “Leggo e incontro l’autore”, la nostra classe ha avuto l’opportunità di incontrare dal vivo Samuele Cornalba, giovane scrittore esordiente, che ha da poco pubblicato  il suo primo libro intitolato “Bagai”.

Il titolo, che in dialetto cremonese significa “ragazzi”, assume una doppia valenza: si riferisce ad Elia, il protagonista del racconto, che si trova in una fase di passaggio cruciale, l’ultimo anno di liceo, ma rappresenta anche in modo più ampio un’intera generazione di ragazzi di provincia.

Le vicende narrate sono ambientate a Pandino, un paese di novemila abitanti in provincia di Cremona, che è anche luogo natale dell’autore. Cornalba descrive questo contesto in modo autentico e personale, restituendo un ritratto riconoscibile della quotidianità in una realtà di provincia.

Prima ancora di iniziare a scrivere il racconto e di dare forma ai personaggi, Cornalba sapeva che avrebbe voluto trattare il tema dell’indifferenza. Questo si riflette soprattutto nel protagonista, Elia,che appare apatico e distante agli occhi degli altri e che, allo stesso tempo, si percepisce estraneo al mondo che lo circonda. Elia vive in uno stato di disorientamento: pur essendo all’ultimo anno di scuola superiore, non ha ancora idea di cosa voglia fare nel futuro.Attraverso di lui, l’autore mette in scena le incertezze e le paure che affliggono la sua generazione.

Elia si sente come bloccato in un “quasi”: è come se qualcosa gli mancasse per riuscire a entrare davvero in connessione con gli altri e provare empatia. La sua difficoltà a esprimersi e ad aprirsi è anche legata al dolore per la perdita della madre, un evento che ha segnato profondamente la sua crescita.

Il rapporto con il padre è complesso: lui e il figlio fanno fatica a condividere il profondo dolore che provano  e questo contribuisce ad alimentare quel senso di vuoto che Elia si porta dentro. Dopo la morte della madre, infatti, si trasferisce per un periodo a casa della zia, segno del legame fragile con il genitore rimasto.

Accanto a Elia ci sono altri personaggi significativi, come Camilla, una ragazza vivace ed espansiva, che affronta la vita con più entusiasmo e fiducia. Il suo incontro con Elia rappresenta un punto di svolta: attraverso di lei, lui inizia a mettere in discussione il proprio atteggiamento e ad aprirsi, anche se con fatica, a un cambiamento. Camilla incarna una possibilità diversa di vivere l’adolescenza, più propositiva e meno chiusa in se stessa, e il suo impatto su Elia è fondamentale per il percorso del protagonista.

Durante l’incontro, Samuele Cornalba si è mostrato molto disponibile e aperto al dialogo, rispondendo con sincerità e attenzione alle nostre domande. È stato interessante potersi  confrontare con un autore così giovane, con cui abbiamo sentito un immediata vicinanza, sia per età che per tematiche affrontate nel libro.

Questo incontro ci ha permesso di avvicinarci alla lettura contemporanea in modo più diretto e coinvolgente e per alcuni di noi è stato anche un’occasione per riflettere sul proprio futuro e sul valore della scrittura come forma di espressione personale.

 

Il Labirinto di Creta e i miti del Mediterraneo

“Il racconto del Labirinto” di Giorgio Ieranò 

Di Chiara Bottino e Alice Moretti 3B

Un intreccio inestricabile di miti, un intero mondo di eroi e di divinità che ruotano intorno al mistero del Labirinto viene esplorato dal professor Giorgio Ieranò nel suo ultimo libro.

Venerdì 21 Marzo lo scrittore è venuto al Liceo Classico D’oria a commentare “Il racconto del labirinto” e ha risposto ai quesiti posti dagli studenti che ne hanno affrontato la lettura.

Giorgio Ieranò attualmente insegna letteratura greca all’Università di Trento dove ha fondato e dirige Dionysos, un laboratorio di ricerca sul teatro antico. Ha lavorato a molte traduzioni e adattamenti teatrali di classici e ha collaborato per anni con il Teatro della Tosse di Genova. È membro del consiglio artistico del Teatro pubblico ligure per il quale ha scritto anche il testo teatrale “Il grande racconto del labirinto”, spettacolo da cui nasce l’idea per il libro. In passato ha lavorato per diversi periodici e quotidiani nazionali.

Durante l’incontro parla poco della sua vita, ma grazie a un paio di domande capiamo molto. Quando chiediamo come è nato il suo interesse per il mito, ci racconta che i miti che il fratello, studente al liceo classico, ripassava ad alta voce avevano sostituito le favole che solitamente vengono raccontate ai bambini, per cui, fin da piccolo, sapeva molte più cose di Ulisse che di Cappuccetto Rosso.

La sue esperienza di ragazzino, ci confida, non è stata sempre semplice: era minuto e timido, in alcune occasioni anche bullizzato e deriso dai compagni più corpulenti e apparentemente sicuri di sé. I miti in quei momenti lo hanno divertito, aiutato ad evadere, ma anche a sperare ad una forma di riscatto: un giorno, se non con la forza, certamente con l’intelligenza e l’astuzia, come Ulisse avrebbe potuto sconfiggere gli arroganti, grandi e grossi come Polifemo.

Il professore continua spiegandoci di aver voluto intraprendere questo viaggio nel mito del Labirinto perché per lui ha avuto un effetto ipnotico e travolgente; su di lui ha esercitato un grande fascino la figura di Teseo: sconsiderato, impulsivo e folle, l’eroe si dimostra coraggioso nell’affrontare il Minotauro, ”smemorato” nel non mantenere la promessa fatta al padre Egeo di cambiare le vele in caso di vittoria, sbadato ( o traditore?) nel ” dimenticare” Arianna a Nasso, volubile nell’innamorarsi della sorella di quest’ultima, Fedra, e persino di divinità come Persefone.

“Il viaggio del Labirinto è stato talvolta interpretato anche come una discesa nei misteri della propria mente, una catabasi nell’oscurità dell’inconscio”. In una visione metaforica del mito si può considerare il Labirinto come uno specchio dell’anima e Teseo come l’eroe che accetta il rischio di addentrarsi nei meandri del proprio inconscio per uccidere i mostri creati dalle sue profondità .

Un filo invisibile che parte dall’isola di Creta collega tutte le vicende dei diversi protagonisti che, a modo loro, hanno vissuto un’avventura e possono narrarne solo un frammento che però fa parte di un disegno più grande componendo un puzzle di storie che ci porta in una realtà antica e leggendaria come quella del Mediterraneo, palcoscenico nel quale si fondono mito e storia. In questo contesto, Creta, con la sua posizione strategica emerge come un luogo che ospiterà la nascita di Zeus, il mito di Europa, in cui l’unione di Zeus ed Europa darà vita a Minosse e infine all’intricato mito del Labirinto.

Come si evolve il giornalismo: tra tradizione e innovazione

Incontro al D’Oria con Luigi Pastore

Di Alice Moscatelli, Angelica Addesi, Chiara Ravaschio, Malatesta Eleonora, Bianca Stefanelli, 2B e Agata Reggiardo, Emma Benvenuto, Chiara Flacco, 2D

Incontrare Luigi Pastore, capo redattore di Repubblica Genova, è stata una delle opportunità che abbiamo avuto quest’anno per capire  in che cosa consiste concretamente la professione del giornalista oggi.

In modo semplice e informale Pastore ha  risposto a quesiti e chiarito dubbi, illustrando anche i possibili percorsi che si possono intraprendere per arrivare ad esercitare la professione.

La formazione. Innanzitutto ci è stato spiegato come sia necessario seguire un percorso che combini pratica e teoria: la formazione teorica può avvenire attraverso scuole di giornalismo o corsi specializzati, dove si acquisiscono le competenze necessarie per svolgere al meglio il lavoro. Oltre a saper scrivere, è fondamentale avere anche competenze giuridiche o tecniche, per poter comprendere temi di vari ambiti. La competenza pratica viene acquisita principalmente in redazioni, dove i cronisti alle prime armi spesso si occupano di notizie di carattere locale e vengono seguiti da giornalisti  esperti. Corsi universitari come Scienze della Comunicazione e Scienze Politiche sono ottime scelte per chi desidera intraprendere la carriera di giornalista, ma anche una laurea in Lettere costituisce una solida base per questa professione.

Quotidiani on line. Con l’avvento della tecnologia molte persone hanno cominciato ad affidarsi al giornale online per rimanere sempre aggiornati. I lettori che utilizzano il sito gratuitamente possono consultare solo un numero limitato di articoli o una parte di essi, mentre gli abbonati hanno accesso completo ai contenuti, con la possibilità di effettuare ricerche e consultazioni più approfondite .Nella gestione di un quotidiano on line è importante conoscere il numero di persone che visualizza i vari articoli e  quanti sono gli  “utenti unici”, ovvero di chi si è collegato al sito più volte e questo avviene grazie all’utilizzo dell’applicazione Chart Beat, che fornisce informazioni sull’andamento di un giornale.

Un sito web di un giornale viene continuamente aggiornato con nuovi articoli, ma questa rapidità può aumentare il rischio di errori sia di battitura che di contenuto. Inoltre, una volta pubblicato, un articolo è difficile da rimuovere e può essere facilmente condiviso su altre piattaforme online. Un altro problema nella pubblicazione di un articolo online è quello del Copyright, che mette in difficoltà molte testate giornalistiche per la pubblicazione di foto e video.

La redazione. A questo punto dell’incontro ci siamo chiesti  come sia strutturata una redazione. Luigi Pastore ci ha illustrato come funziona quella di Repubblica Genova:  è composta da circa 12 persone, di cui 4 o 5 sono cronisti, che spesso si recano sui luoghi per raccogliere notizie e sono gli autori della maggior parte degli articoli; gli altri sono i deskisti, che dirigono, revisionano e confezionano il giornale. La sede di Repubblica,  la redazione centrale,  si trova a Roma, ed è composta da più di 300 persone. Con gli anni il mestiere del giornalista si è ampiamente evoluto e non comprende solo i giornalisti che compongono la redazione, ma racchiude anche figure come i freelancer.

Nonostante i cambiamenti che il giornalismo ha subito negli anni, l’importanza e lo scopo di questo lavoro sono rimasti gli stessi: informare in modo chiaro, preciso e responsabile. L’evoluzione tecnologica ha portato nuove opportunità, ma anche sfide, richiedendo ai giornalisti di adattarsi a un mondo sempre più veloce e interconnesso. La digitalizzazione ha trasformato il modo in cui le notizie vengono diffuse, ma il valore di un’informazione di qualità resta fondamentale.

Cassandra: tra mito e realtà

di Matias Di Giacomo, Matilde Pedroncini,  Emma Zini, 2 B

Poche ore prima di assistere allo spettacolo “Cassandra o dell’inganno” Elisabetta Pozzi, ideatrice e interprete dell’opera, ci ha accolti dietro le quinte del Teatro Duse. Incontrarla è stato un privilegio perchè ci ha consentito di comprendere le scelte drammaturgiche dell’autrice e di conoscere meglio le tappe fondamentali della sua formazione e della sua carriera.

Qui il video della nostra intervista.

Elisabetta Pozzi ha ideato questo spettacolo basandosi principalmente sulle tragedie di Eschilo ed Euripide, ed è riuscita a unire modernità e mitologia, coinvolgendo il pubblico in un percorso che  dall’affascinante e crudele storia di Cassandra arriva ai giorni nostri.

 

Signora Pozzi, lei ha portato in scena le figure femminili più grandi del teatro classico. Che cosa l’ha spinta a scrivere e interpretare questo spettacolo proprio su Cassandra?

Sì, è vero, ho portato in scena le grandi figure femminili del mito , soprattutto a Siracusa, che è un luogo speciale perchè riporta davvero a un momento unico: 5.000, 6.000 spettatori che , come quelli del V secolo a.C., si riuniscono nel teatro greco per assistere alla rappresentazione di  questi grandi testi, Medea, Fedra, Clitemnestra. Cassandra è la profetessa troiana mai creduta a causa della maledizione di Apollo. Quello che mi ha incuriosito di questo personaggio, che conoscevo molto bene perchè l’ho studiato a scuola e approfondito nel mio lavoro, era proprio questo punto: quante “Cassandre” in realtà ci sono state nel corso dei millenni? Quanti uomini e donne  hanno percepito che qualcosa stava succedendo, hanno cominciato a capire attraverso dei segni il fatto che qualcosa stava per finire, un ciclo, un periodo storico,  un impero , e hanno cercato di dirlo ma purtroppo non sono stati creduti? 

Secondo lei ci sono oggi delle “Cassandre”, persone inascoltate a cui invece bisognerebbe prestare attenzione?

“Sì, ce ne sono molte e proprio ad alcune di queste ho voluto fare riferimento; sono grandi pensatori come Jean Baudrillard, Marc Augè, che hanno proprio scritto del futuro,  Vance Packard che nell’opera “I persuasori occulti”  parlava della potenza che i mezzi di comunicazione avrebbero avuto sulle persone. Nel giro di pochi anni queste “predizioni” si sono avverate: vediamo la dipendenza totale che ormai tutti hanno dalla tecnologia. Da non dimenticare Pierpaolo Pasolini che nel 1960 scrive “Profezia“, un’opera sull’immigrazione, sul destino di uomini e donne che arrivano da Paesi lontani. La sua riflessione mi ha colpito molto e mi commuovo sempre quando sul palco recito un suo passaggio fondamentale: “scenderanno a milioni, sbarcheranno a Crotone o a Palmi, vestiti di stracci asiatici e camicie americane”.

Sappiamo che ha lavorato molte volte al Teatro Greco di Siracusa e che ha una grande attenzione per il dramma antico. Perchè ritiene importante continuare a portare in scena le tragedie classiche? Quali messaggi o emozioni possono ancora trasmettere a una società tanto diversa, più di duemila anni dopo?

“Le tragedie che ci sono arrivate, scritte in un’epoca e in una società tanto lontane, sono sempre attuali perchè riguardano aspetti, emozioni o sentimenti dell’essere umano di ogni tempo, universali. Per esempio ne “I Persiani” di Eschilo si parla della guerra e la grande intuizione del drammaturgo ateniese è stata quella di parlare ai Greci vincitori della follia della guerra attraverso la disperazione di un popolo da loro  sconfitto, per dire” la guerra riduce così”. Le tragedie ci fanno riflettere anche sull’ Ybris, la tracotanza,  la perdita del senso della misura, che evidentemente  stiamo vivendo anche noi oggi.

 

Esiste un personaggio che ha interpretato o uno spettacolo in cui ha recitato che è stato particolarmente significativo sia per la sua carriera che per la sua vita?

“Le prime esperienze sono state importantissime; risalgono a quando frequentavo ancora il liceo e ho iniziato a lavorare con un piccolo ruolo in un dramma di Pirandello ; avevo partecipato ad un provino senza dirlo ai miei e mi avevano preso, quindi i miei genitori si sono ritrovati  a dover firmare il mio primo contratto perchè non ero ancora maggiorenne. Mi ricordo che mio padre era contrario,  voleva che io finissi prima il liceo, ma poi   Giorgio Albertazzi, il mio maestro, venne a casa mia e convinse i miei a firmare quel contratto. Altri spettacoli che sono stati fondamentali per me sono”Le tre sorelle” di Cechov che ho portato in scena qui a Genova,  “Il lutto si addice ad Elettra” per la regia di Luca Ronconi, di cui ero la protagonista e che fu un’esperienza sconvolgente, grazie alla quale ottenni parecchi premi. Ancora “Zio Vanja” di Cechov,  con cui abbiamo debuttato a Mosca. Poi , naturalmente, tutti gli spettacoli di Siracusa: Medea, Ecuba, Fedra, Le Troiane. A Genova, con ” Giacomo il prepotente” sulla  figura di Giacomo Leopardi, ho iniziato un lavoro sulla drammaturgia contemporanea, che ritengo fondamentale coltivare. Attualmente  con la scuola di recitazione del teatro di Genova, che dirigo, lavoro coi ragazzi proprio sulla drammaturgia contemporanea.

Quale percorso di studi consiglia ad un giovane che desidera intraprendere la carriera di attore? Come consiglia di trasformare una passione in un vero e proprio lavoro?

“La formazione che dà il liceo classico è unica; concordo con Roberto Vecchioni, cantautore e professore di greco, quando dice “io non ho mai paura, perché ho fatto il liceo classico”. La formazione classica fortifica, fornisce il giusto senso del pensiero. A me ha aiutato tantissimo. Di seguito  ritengo che la cosa più importante sarebbe fare teatro da subito, già da ragazzi, anche per coltivare  l’immaginazione. Il teatro è immaginare di essere altro da sé.