“Scrivo di ciò che mi fa arrabbiare”

Incontro al Book Pride con Simone Biundo, poeta contemporaneo

di Stella Medusei e Carolina Vassallo, 2B 

Il Book Pride è un evento organizzato con lo scopo di dare visibilità a piccoli e medi editori e stimolare i lettori attraverso incontri con scrittori contemporanei.

Tra le tante iniziative proposte dal Book Pride genovese, due classi del liceo D’Oria hanno approfittato, il 3 ottobre scorso, della possibilità di incontrare un poeta contemporaneo, Simone Biundo, e di  partecipare  alla presentazione del suo nuovo libro, intitolato “Così”. A introdurre e moderare l’incontro è stata Ilaria Crotti, dell’Associazione culturale FalsoDemetrio. 

La 2B e la 2D al Book Pride

Simone Biundo, nato a Genova nel 1990, oltre a essere un poeta, insegna lettere alle medie, si occupa di editing e di comunicazione in ambito letterario e artistico. E’ un poeta “vivo”,  come dice scherzando, per introdurre l’incontro, un poeta in carne ed ossa, diversamente da tutti i poeti che si studiano a scuola.  Il poeta vivo, però, di poesia non vive – aggiunge ironico – con un gioco di parole.  E’ un poeta giovane e irriverente.

Il poemetto “Così” è un testo che affronta temi che, secondo Biundo, provocano rabbia. Tra questi la maggior parte sono argomenti attuali: l’impressione del tempo che fugge e divora tutto ciò che ci sta più a cuore, l’indifferenza che proviamo verso guerre che non toccano il nostro Paese, anche se causano sofferenza e morte, lo stress con il quale affrontiamo quotidianamente la vita.

La vita – sostiene Biundo –  è priva di senso se non siamo noi stessi a conferirglielo, ecco perché  dobbiamo crearci un’idea di ciò che succede intorno a noi. Dobbiamo essere consapevoli e non farci catturare dalla “cancellazione”, non fare finta che le cose che ci disturbano o sono ingiuste non esistano. Siamo bombardati dalle immagini, da parole vuote. La poesia invece sceglie e pondera la parola.

L’incontro con Simone Biundo e Ilaria Crotti dell’Associazione culturale FalsoDemetrio

La poesia naturalmente  non vende o vende pochissimo, non ha una utilità pratica, ma – come quasi tutto quello che “non serve” è ciò che è più importante per vivere. La sua poesia non è poesia lirica, l’espressione di un sentimento interiore, ma piuttosto l’espressione di un disagio della civiltà.

Per realizzare “Così”, come per ogni opera, il poeta si è imposto delle regole: bisogna darsi dei limiti.  In questo caso l’uso di un ritmo caratterizzato da pause, versi endecasillabi, la scelta del non utilizzare aggettivi e di inserire il turpiloquio per avere un riscontro inatteso e, infine, l’adozione di tempi lunghi. All’interno del poemetto  tutti i  verbi sono stati usati al tempo presente per esprimere la contrazione del tempo: il poeta non vuole rievocare il passato e non ha alcuna idea su ciò che avverrà. Il titolo è stato scelto in base al significato della parola “così”, apparentemente una parola vuota, ma continuamente ricorrente, che può indicare qualcosa di doveroso (E’ così!), ma anche, come congiunzione conclusiva, la fine di un discorso.

Dall’Orestea ai Mannon: ritratto della violenza familiare

La prima nazionale dello spettacolo “Il lutto si addice ad Elettra”

di Alexandra Delrio, Giulia Portalupi, Bianca Stefanelli, Federica Tanca e Chiara Torazza, 3B

La prima nazionale dello spettacolo Il lutto si addice ad Elettra’ di Eugene O’Neill, con la regia di David Livermore, propone un racconto che racchiude in sé temi come il complesso di Edipo e la riflessione sull’inevitabilità del destino, rievocando le stesse emozioni che muovevano gli eroi antichi.

Non possiamo definire questo spettacolo un adattamento del mito nel senso stretto del termine: scenografia, ambientazione temporale e sottotrame sono state completamente rielaborate, al punto da trasformare la tragedia classica in una vicenda parallela, ambientata in un contesto moderno, ma carico dello stesso πάθος dell’antichità.Colpisce come il mito si rifletta in questa nuova narrazione, capace di fondere l’antico pensiero classico con le dinamiche della società moderna.

Trama Il racconto è incentrato sul tradimento di Christine Mannon nei confronti di Ezra Mannon, che muore assassinato dalla sua stessa moglie.

Lavinia, figlia di Christine ed Ezra, e la madre hanno sempre avuto un rapporto conflittuale dovuto principalmente a due ragioni: il complesso di Elettra da cui è affetta Lavinia e la repulsione che Christine prova nei confronti del marito Ezra. Lavinia è invidiosa della madre e non sopporta di vederla tradire il padre con il capitano Adam Brant, il quale finge di essere innamorato della figlia per rendere la relazione tra i due ancora più insospettabile.

Christine, innamorata di Ezra da giovane, comincia a provare ripugnanza per lui dopo il matrimonio e i gesti che il marito considerava affettuosi vengono percepiti da lei come oppressivi, in alcuni casi perfino violenti. Lei detesta Lavinia poiché la vede soltanto come frutto di una violenza. Predilige invece il fratello Orin, nato in assenza di Ezra, il quale ha un rapporto morboso con la madre, tanto da anteporre i suoi desideri alla propria felicità in molte situazioni. Orin, ignaro di quello che sta accadendo nella sua famiglia, non ascolta Lavinia, nonostante i suoi continui avvertimenti su chi fosse realmente sua madre, completamente soggiogato dalle parole manipolatorie di Christine, disposta a tutto pur di fargli credere che la sorella stia mentendo e proteggere la sua relazione segreta con Adam Brant.

Rappresentazione teatrale O’Neill illustra l’influenza di queste dinamiche familiari opprimenti sulle relazioni amorose dei due fratelli Mannon: Lavinia si rifiuta di sposare Peter, innamorato di lei da molto tempo, e Orin considera fondamentale l’opinione di sua madre su Hazel, giovane follemente innamorata di lui.

Questi due personaggi, che rappresentano il coro, sembrano essere gli unici a riconoscere il malsano rapporto tra i membri della famiglia. Infatti i figli dei Mannon, in particolar modo Lavinia, diventano sempre più come i genitori. Il regista David Livermore rappresenta scenograficamente questa trasformazione: alla morte di Christine, Lavinia indossa un vestito quasi identico a quello della madre e Orin manifesta gli stessi desideri di avventura e, in parte, di libertà del padre. In uno dei momenti di crollo di Orin, Lavinia prova a calmarlo ricordandogli la natura malvagia della madre ma il fratello sembra stare per rivelare tutto alla fidanzata Hazel: scatta tra i due un bacio, metafora che racchiude tutta la disperazione e la rabbia dei personaggi. In quel momento sembra essere presente tutta la famiglia Mannon sul palco ed è sicuramente una delle scene più intense di tutta l’opera. Ripensando all’accaduto, Orin scrive tutta la storia dei Mannon con lo scopo di pubblicarla e rendere nota la colpevolezza della sorella. Inizialmente affida la storia a Hazel Niles, ma Lavinia, rimasta sola, si appropria del fascicolo, ritrovandosi schiacciata dal peso della maledizione familiare e decidendo di rinchiudersi nella casa dei Mannon per il resto dei suoi giorni, accettando il lutto come un destino inevitabile.

La psiche dei protagonisti è stata notevolmente approfondita rispetto all’Orestea: nei personaggi creati da O’Neill è presente una complessità psicologica strutturata. E’ stato interessante trovare le corrispondenze tra i componenti della famiglia Mannon e i personaggi eschilei. Lavinia, la figlia prediletta del padre e la più grande rivale della madre, è ispirata ad Elettra, mentre Orin riprende la figura di Oreste, Ezra Mannon quella di Agamennone, Christine quella di Clitemnestra e il capitano Brant quella di Egisto.

Attori e recitazione I due ruoli principali, Christine ed Ezra Mannon, sono interpretati rispettivamente da Elisabetta Pozzi e Paolo Pierobon. Entrambi hanno recitato in maniera avvincente, coinvolgendo tutto il pubblico sia con le parole che con i gesti. La figura di Christine è forse quella che rimane più impressa, proprio perché non offre spiegazioni facili: si muove tra desiderio, colpa e solitudine senza mai risultare del tutto trasparente. La sua lotta interiore tra dolore, rabbia e desiderio di libertà la rende un personaggio complicato e indimenticabile.

Paolo Pierobon offre un’interpretazione di grande potenza drammatica quando, in punto di morte, indica Christine come sua assassina. La recitazione migliore è stata senza alcun dubbio quella di Linda Gennari, nel ruolo di Lavinia, il cuore tormentato della tragedia: a fine spettacolo ha interpretato in modo eccellente la trasformazione della protagonista nella persona che più odiava, sua madre, imitando in modo quasi perfetto i gesti e persino la risata del personaggio di Elisabetta Pozzi.

La recitazione meno autentica è stata quella di Marco Foschi nel ruolo di Orin, appena tornato dalla guerra. L’attore ha recitato il ruolo di Oreste con molta foga, ma poca espressività, spesso in modo troppo dinamico e con toni che sembravano inadeguati al contesto.

“Il lutto si addice a Elettra” presenta un’atmosfera tesa che si respira dall’inizio alla fine. Non si può non restarne coinvolti: gli attori non si limitano ad interpretare una tragedia, la vivono. I personaggi non sono mai semplici da comprendere, non si lasciano classificare come “giusti” o “sbagliati”: ognuno porta con sé un peso di cui non riesce a liberarsi e proprio questa complessità li rende realistici. Anche quando vengono urlati, il dolore, il rancore e le dinamiche familiari non trovano mai davvero sfogo: restano irrisolti, come se nessuna voce fosse abbastanza forte da liberarli davvero.

Quest’opera diventa quindi un ponte tra due mondi, quello classico e quello contemporaneo, perché certi conflitti, quelli che interessano le relazioni più intime, possono essere comuni a tutti.Il lutto, in questo caso, non è solo perdita, ma una trasformazione per chi lo affronta, che può addirittura cambiare una persona radicalmente. “Il lutto si addice ad Elettra” è uno spettacolo che fa riflettere anche dopo che il sipario è stato calato.